Usando un eufemismo, il secondo lavoro dei capitolini
Helslave dal titolo
“From the sulphur depths”, giunto a ben sei anni dal precedente
“An endless path”, si può definire in una sola maniera: una badilata sulle gengive!
Per quasi trentasette minuti il quintetto tricolore si esibisce in una tellurica cavalcata musicale che attraversa le lande svedesi nelle sue declinazioni più violente e sanguinarie. Nello swedeath degli
Helsalve è facile riconoscere sia l’eredità della seminale scena di Stoccolma (
Dismember in primis ma anche
Grave) che quella di Gothenburg cresciuta negli anni 90 (primi
At The Gates) grazie ad un songwriting che riunisce in sé riff dalle melodie sinistre, una ritmica serrata quanto potente e precisa, e chirurgici quanto ragionati cambi di tempo.
E’ naturale quindi che l’ascolto di
“From the sulphur depths” trasmetta ottime sensazioni a chi si nutra regolarmente di queste sonorità fisiche quanto adrenaliniche; si sente che la band non si è risparmiata e si ha l’impressione che spesso portino vicino al punto di fusione i propri Boss-HM2, inoltre l’aver scelto un vecchio volpone come
Dan Swanö e i suoi Unisound per la registrazione aggiunge quel classico valore in più che spesso difetta ad opere simili.
Che ci sia un gran lavoro propedeutico svolto in sala prove dietro a
“From the sulphur depths” si capisce da come la band ha deciso di articolare la propria proposta: “
Perpetual damnation” è indiavolata, “
Last nail in the coffin” si attesta su ritmiche più midtempo sviluppate su una melodia dal groove sulfureo a la
Grave, ma penso che sia
“Rotting pile of flesh” ad unire in sé tutti gli elementi caratteristici del rinnovato corso degli
Helslave.
Certamente è chiaro a tutti – la band in primis – che in questo genere non si reinventa nulla e che la concorrenza è tanta e molto agguerrita, ma è altrettanto vero che se continueranno a lavorare con questa precisione e dedizione potranno togliersi grosse soddisfazioni.
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