Con questo
“Judas”, i
Lord Of The Lost hanno voluto decisamente fare le cose in grande. Con l’ispirazione virata verso il vangelo di Giuda, ossia il racconto di come quest’ultimo abbia seguito Dio nel suo cammino, per poi tradirlo, la band di
Chris Harms e soci hanno spinto, se possibile, l’asticella ancora più in alto rispetto ai precedenti dischi. Per chi già conosce i
Lord Of The Lost, ed è familiare con la loro musica, sa quanto essi prediligano tracce ben costruite, con una certa malinconia di fondo, ma non per questo disprezzando l’energia. Anche la durata in generale dei dischi della band si è sempre spinta oltre i “canonici” quaranta minuti, e dove quindi ogni disco era un’esperienza a sé, chi con più difetti e chi con meno.
Come detto inizialmente, questo nuovo
“Judas”, tra l’altro secondo album che esce sotto Napalm Records, sconvolge un po’ tutte le carte in tavola. Questo non perché il gruppo sia di colpo impazzito ed è virato sul Power Metal, no, ma perché ha deciso di enfatizzare al massimo tutta la maturità compositiva presente nei dischi da
“Fears” a
“Thornstar”, raccontando una storia decisamente difficile da tramutare in musica. Abbiamo già visto in dischi di band molto più blasonate, come un certo “Nostradamus” o un “The Astonishing” quanto sia difficile narrare un racconto tramite molti pezzi che non porti l’ascoltatore a staccare al quinto o sesto pezzo, per poi riprendere (se si riprende) l’ascolto dopo un paio di giorni dimenticandosi completamente dell’atmosfera che la band aveva in mente di proporre. Ci saranno riusciti i
Lord Of The Lost?
In parte sì, e in parte no. Questo perché
“Judas” ha un grande punto di forza, ma a sua volta anche un punto debole. Il primo è la voce di
Chris Harms, calda e evocativa, che riesce quasi sempre a creare un pathos più che adatto ai vari pezzi, come nella bellissima
“The Death Of All Colours” o
“For They Know Not What They Do”, dove si ha anche l’uso di uno scream che male non ci sta.
Gared Dirge con il suo lavoro alle tastiere contribuisce anche lui in maniera netta alla costruzione dei pezzi, passando da
“Your Star Has Lead You Astray” dove ben si sposa con un sound delle chitarre molto aggressivo, o nel ritornello dannatamente catchy di
“And It Was Night”. Ma passiamo ai punti deboli, la struttura dei pezzi. Molte canzoni dell’album tendono a ripetersi molto nei ritornelli, cosa che tende ad accadere più volte di quanto ci si aspetti in un disco con così tanta carne al fuoco.
“The Ashes Of Flowers” e
“200 Years A Pyre”,
“The Heart Is Traitor” e “
Viva Vendetta”, i primi che mi vengono in mente. Ma a scanso di poche differenze, quasi tutto
“Judas” viaggia su queste coordinate. Ed è un vero peccato, perché se la band avesse deciso di ridurre, anziché aggiungere, non staremmo a parlare certo di un capolavoro da tramandare ai posteri, ma perlomeno di un disco ben riuscito.
“Judas” è un album che vive di luci e ombre, dove l’ottima coesione che i musicisti del gruppo hanno raggiunto fra di loro è viva e forse più partecipativa rispetto alle scorse uscite, ma dove si è voluto fare il cosiddetto passo più lungo della gamba, e i
Lord Of The Lost sono inciampati. Non dubito che possano rialzarsi a testa alta, gli errori alla fine servono da monito per non doverli più ripetere. Mi sento comunque di consigliare l’ascolto a chi volesse intraprendere un viaggio in sonorità molto intimiste e decadenti, ma non aspettatevi il massimo dell’ispirazione.
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