Difficile pensare agli
Yes senza
Chris Squire (RIP) e senza
Jon Anderson. Eppure eccoli qui - ancora una volta - con un nuovo full-length, a distanza di oltre cinquant’anni dall’esordio datato 1969.
Se sulla voce di
Davison (che a me ricorda quella del meno noto Hubi Meisel) aveva già espresso qualche
perplessità il buon Pippo, il doppio
“The Quest” non fa che confermare certe impressioni, a cominciare dall’introduttiva
“The Ice Bridge”, brano che potrebbe rievocare - senza troppo successo - le atmosfere di
“Tormato” e
“Drama”.
“Dare To Know” e
“Minus The Man” fondono le sonorità del primo periodo con gli esperimenti sinfonici di
“Magnification”, prima di una fiacca
“Leave Well Alone”, che si apre all’Oriente ma sconfina velocemente nel synth-pop.
I tratti più epici dello
Yes-sound si fanno evidenti nella frettolosa
“The Western Edge”, che prelude a
“Future Memories”, una
“Wonderous Stories” moderna ma non altrettanto convincente. L’orecchiabile
“Music To My Ears” sfocia in
“A Living Island”, che spicca per il chitarrismo sempre elegante di
Steve Howe.
Difficile dare un senso al secondo CD, un breve trittico di composizioni che inizia con la bucolica
“Sister Sleeping Soul” per proseguire con un maldestro tributo ai Fab Four (
“Mystery Tour”) e concludersi con
“Damaged World”,
pastiche a cavallo tra i colori degli Anni Sessanta e i synth della decade successiva.
Per chi scrive, un’occasione mancata.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?