10 Ottobre 2014 – 19 Novembre 2021.
È esattamente questo il tempo intercorso tra “
Blood in, blood out” e “
Persona non grata”, ultimi due lavori in studio degli
Exodus.
Durante questo lasso di tempo sono successe diverse cosa significative che possono giustificare sette anni di attesa: il tumore, per fortuna sconfitto, di
Tom Hunting, che ha subito l’asportazione totale dello stomaco, il tour di addio degli Slayer e, non ultima, una pandemia mondiale!
Poi la notizia che il nuovo disco era pronto, rumours che giravano in rete, e
Gary Holt che rilasciava dichiarazioni di un certo peso annunciando ai fans che il nuovo materiale avrebbe avuto un livello di violenza inaudito e che sarebbe stato fuoco puro. Eccesso di superbia da parte del chitarrista oppure le sue dichiarazioni corrispondono al vero? Beh, premete il tasto play e ve ne accorgerete voi stessi!
“
Persona non grata” è un calcio nei denti dato con la punta di un anfibio! La titletrack, posta in apertura, mette subito in chiaro come stanno le cose: riff e ritmi serratissimi assalgono l’ascoltatore fin dai primi secondi, mentre parti mosh schiacciano il nostro povero cervello con la violenza di un bulldozer. I suoni sono compatti e cristallini, il lavoro di
Andy Sneap è come sempre impeccabile, ed esalta alla perfezione la violenza sonora dei brani. E come se non bastasse, la cosa che mi è piaciuta di più dell’album: solo tre brani superano i sei minuti, andando controcorrente rispetto agli standard del gruppo, al quale ho sempre rimproverato una certa prolissità che faceva perdere un po’ di impatto al tutto. Beh, questa volta, quasi a voler sottolineare l’urgenza sonora del disco, i pezzi sono più snelli e diretti, e il risultato finale non può che giovarne.
I brani trasmettono angoscia, sono cupi e inquietanti (“
Prescribing horror”), così come i temi trattati nei testi, e i riff che si susseguono non fanno altro che aumentare questo senso di disturbo, non lasciando il tempo di respirare e capire cosa sta succedendo. Per un’ora esatta veniamo letteralmente calpestati da brani compatti e feroci, con un impatto sonoro assurdo. Ma quindi, vi chiederete voi, questo nuovo album è soltanto violento e pesante? Assolutamente no! Come sempre le trame chitarristiche, gli assoli melodici e le alternanze ritmiche rendono il tutto dinamico e vario, stiamo pur sempre parlando degli
Exodus, il loro trade mark non viene di certo snaturato. Questo nuovo capitolo riparte da dove si era interrotto sette anni fa, modulando il sound di “
Blood in, blood out” senza snaturare la proposta della band, e soprattutto senza ripercorrerne le orme in maniera sterile e fin troppo comoda.
Se dei brani più corti e snelli abbiamo già parlato, basti ascoltare le micidiali “
The beating will continue (untile morale improves)” e “
R.E.M.F.”, oppure la quadratissima “
Clickbait” o la ferale “
The fire of division”, una novità ben più sostanziale è da sottolineare assolutamente, perché sono certo che farà storcere il muso a parecchi di voi: compaiono, qua e là, e per fortuna non in maniera invasiva, dei growl, quasi certamente ad opera di
Cody e
Nick Souza, entrambi figli di
Zetro, ed entrambi presenti come ospiti alle backing vocals. Un tentativo di stare più al passo coi tempi? Chi lo sa, probabilmente sì, però per quanto mi riguarda è l’unico grande neo di un album altrimenti impeccabile sotto tutti i punti di vista.
E dico tutti perché per me, nonostante a molti infastidisca, anche la voce del buon
Zetro è da promuovere, e vi spiego perché. Intanto a 57 anni suonati non si può certo pretendere che canti come a venti anni, ma poi, diciamocelo chiaramente, il suo timbro è sempre stato stridulo ed acido, ed è proprio questa la caratteristica vincente.
Rob Dukes era probabilmente molto più dotato vocalmente, ma era uno in mezzo a mille, di timbri come il suo negli ultimi venti anni ne abbiamo ascoltati a migliaia. Di
Zetro,
Blitz,
Schmier,
Angelripper o
Belladonna, per dire i primi che mi vengono in mente, ma potrei aggiungerne a decine, ci sono solo loro e nessuno canterà mai come loro. Li riconosci dalle prime note, ed hanno contribuito in maniera fattiva a rendere unico il sound delle proprie band di appartenenza. Quindi, per quanto mi riguarda, meglio un singer con la propria personalità, anche se al 70% delle forze, rispetto ad uno al top ma insipido e uguale a mille altri.
Per concludere, “
Persona non grata” mi ha convinto appieno, è un album talmente fresco che sembra essere stato scritto da ventenni bramosi di fama, invece stiamo parlando di sessantenni con un’esperienza incredibile e una voglia di fare ancora palpabile. E se “
Cosa del pantano” per un minuto mi ha riportato indietro negli anni ai tempi di “
Cajun Hell”, per i più nostalgici di voi c’è un’altra piccola chicca: nel brano “
Lunatic-Liar-Lord” è presente, come special guest, niente meno che
Rick Hunolt, che si diverte a duettare con
Gary Holt come ai bei vecchi tempi. E direi che con questo è veramente tutto, non mi resta che consigliarvi di ascoltare l’album tutto d’un fiato, mi ringrazierete…