Al netto di prestazioni live a volte pietose, al netto di una discografia lunghissima e che conta diversi passi falsi o poco ispirati, tenendo insomma conto di tutto questo, un pochino di curiosità per un nuovo lavoro dei
Grave Digger c’è sempre. Alcuni loro album sono infatti entrati nel mio cuore metallico, li riascolto spesso con piacere e non potevo quindi ignorare la chiamata dei becchini.
La fantasia, l’esplorazione di nuovi sentieri musicali, lo spazio per le evoluzioni e i cambiamenti non sono certo le strade più percorse nella storia della band tedesca che, tolto qualche album dal sapore leggermente più sinfonico e melodico sparso nel post anni 2000, ha sempre mantenuto un sound essenziale. Da qualche tempo a questa parte, e a maggior ragione sul nuovo "
Symbol of Eternity", le canzoni sono state parecchio asciugate, vanno dritte al punto e si basano su pochi riff graffianti e su ritornelli che si aprono supportati da cori. Tutto questo funziona bene quando i riff e le tematiche sono ispirate, quando ci sono la spinta e la carica giuste. Altrimenti cosa succede? Vediamolo insieme.
"
Symbol of Eternity" è il ventunesimo (!) album della carriera dei
Grave Digger e va a riprendere le tematiche dei templari e delle crociate tanto care ai nostri beccamorti, ambientazioni che sul finire degli anni ’90 ci hanno regalato l’ottimo
Knights of The Cross.
Vi faccio notare che:
- nel 2010 hanno realizzato un album chiamato
The Clans Will Rise Again, riprendendo le ambientazioni ed i concetti espressi del loro famosissimo
Tunes of War;
- nel 2014 hanno poi pubblicato
Return Of The Reaper, con la promessa del ritorno ad un suono di quella bomba di
The Reaper rilasciato nel 1993;
- nel 2020 è la volta di
Fields of Blood, il terzo capitolo della saga scozzese iniziata con
Tunes of War;
- nel 2022 pubblicano questo
Symbol of Eternity riprendendo storie e concetti narrati su
Knights of The Cross.
A tutto questo aggiungo che una nuova canzone di questo ultimo album, “
Battle Cry”, ha un riff ed un andamento MOLTO simile a “
Pendragon” presente su
Excalibur (1999) ed il pezzo “
King of The Kings” ha un riff iniziale preso per metà proprio dalla succitata “
Battle Cry”.
Confusi? Già, siamo alla derivazione della derivazione, provare per credere.
Ora, con tutto questo preambolo, "
Symbol of Eternity" potrà essere un disco ispirato con della spinta e della carica come accennavo qualche riga sopra? Potrà rappresentare una svolta nel sound della band? Potrà solleticarci con melodie appassionate e sollazzarci con canzoni altamente coinvolgenti?
Un paio di palle.
Ma…
Da parecchio tempo, come detto, la formula dei
Grave Digger consiste nel tirare fuori un riff sporchissimo ed esageratamente distorto (maledetto
Ritt), aggiungere un’apertura più melodica in fase di ritornello e supportarla con dei cori perché il buon
Chris non ha più voce, mettere qualche leggera tastiera per creare ambientazione, scegliere la formula del mid tempo o quella della doppia cassa-elicottero. Et voilà.
Se non conoscete la band ed avete voglia di ascoltare un disco heavy metal grezzo, semplice e verace,
Symbol of Eternity va anche bene ed è principalmente per questo che non mi sono sentito di segarlo. Non posso negare che l’up tempo graffiante di “
Hell Is My Purgatory” sia piacevole e ben fatto, così come l’oscureggiante e trascinante “
Nights of Jerusalem”, apprezzabile anche la varia ed atipica
title track MA per quanto riguarda il resto delle canzoni viaggiamo tra un déjà vu ed il puro mestiere. Non è male nemmeno “
The Last Crusade” ma le parti di questo pezzo sono tenute insieme con lo scotch e a livello di produzione si poteva certamente fare meglio. Mancano ispirazione, vivacità, carica, trasporto, potenza, melodie vincenti. In chiusura cito un attimo “
Hellas Hellas”, cover di una canzone greca e che vede la partecipazione di
Vasilis Papakonstantinou, simpatica e che strappa un sorriso con il suo organo Hammond e la sua anima rock. Trovo giusto tenerla alla fine come bonus, è che paradossalmente sembra più viva e interessante di molti altri pezzi del disco.
Non mi dilungo oltre. Traete voi stessi le conclusioni e scegliete pure se immergervi nell’ascolto di questo ventunesimo capitolo che, lo ripeto, non ritengo brutto ma semplicemente poco ispirato e troppo di mestiere, oppure passare oltre visto che la buona musica non manca.
p.s. Ho aperto questo scritto citato le pessime performance live dei
Grave Digger e
cliccando questa recente esibizione tenuta al Rock Hard Fest potete farvi un’idea.
Chris non ne ha proprio più ed è accompagnato alla voce da un ragazzo spesso fuori tempo,
Axel “Ironfinger” Ritt è invece più impegnato nelle sue solite odiose pose da dio della chitarra piuttosto di essere efficace, infatti sporca tutto lo sporcabile ed il gruppo non sta insieme.