Gli olandesi
AUTARKH sono tornati con il loro secondo album,
“Emergent”, a distanza di poco più di due anni dal loro debutto discografico
“Form In Motion”, pubblicato anch’esso dalla
Season Of Mist il 12 marzo 2021.
Per la stesura di
"Emergent",
Michel Nienhuis, fondatore, chitarrista e voce degli
AUTARKH (e dei
DODECAHEDRON), si affida nuovamente alla collaborazione con il chitarrista e produttore
David Luiten (
INFERUM), il bassista
Desmond Kuijk (
DEAR MOTHER) e l’esperto di elettronica
Tijnn Verbruggen.
Da quel che ci comunica la casa discografica con il promo che ci ha affidato,
“Emergent” pare essere:
<<(…)un’esplorazione sonora dell’universo interiore dove tutte le cose si illuminano e si può incontrare l’oscurità. L’ascoltatore è attirato in un “Open Focus” (in uno stato mentale meditativo) che lo prepara ad un viaggio interiore lungo i centri energetici fisici.>>[La traduzione è mia, mi scuso per eventuali errori].
Gli
AUTARKH suonano un progressive metal dai tratti industrial, piuttosto melodico ma che in ogni caso lascia spazio anche per qualche incursione in lidi più estremi affini al death, metalcore et similia.
A differenza del loro esordio
“Form in Motion”, il quale si muoveva su coordinate più estreme richiamanti un po’ alla memoria realtà come i gloriosi
Strapping Young Lad, con uso dell’elettronica massiccio dove si inserivano anche echi dei
Fear Factory e di musica dubstep, qui gli olandesi navigano su acque ben più quiete riducendo al lumicino le parti più tirate e aggressive, a favore di un approccio più pulito ed easy listening, e di atmosfere leggermente più dilatate.
Si avverte ancora l’influenza del genio canadese
Townsend, ma di quello della fase solista, senza però purtroppo averne la stessa caratura. Così come a mio modo di vedere è udibile qualche eco proveniente dai
Dream Theater dei tempi migliori.
Intendiamoci, il platter è piuttosto scorrevole, agevolato anche dalla sua non eccessiva prolissità – visto e considerato il genere 45 minuti non sono poi tanti –, e nell’insieme risulta ben suonato, però non riesco a condividerne l’entusiasmo che ho notato aver suscitato altrove (in particolar modo all’estero).
Personalmente non trovo brani particolarmente impressivi, in grado di reggere la prova del tempo, e anche la proposta generale mi appare piuttosto scontata e poco originale.
Ho preferito di gran lunga
"Form in Motion"…non solo per la carica del prodotto – il cui giudizio negativo o positivo può rientrare nella sfera dei parametri soggettivi – bensì proprio per una questione di genuina autenticità.
Recensione a cura di
DiX88
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