All’apparenza c’è moltissima distanza tra la “freddezza” tecnologica di un DVD e un’ustionante esibizione dei desperados britannici The Dogs D’Amour, con quest’ultima che, per poter essere apprezzata appieno, dovrebbe prevedere una partecipazione diretta dell’astante di turno, intento a sudare per e con la band, stipato nella folla sotto un palco.
Ora che la stagione stimola una copiosa traspirazione anche se seduti comodamente sul divano di casa, accettiamo una deroga alla summenzionata situazione ideale, scoprendo che anche un surrogato televisivo di un loro show può essere un’esperienza degna di nota.
“Unleashed” contiene, infatti, un concerto tenuto dai nostri in un piccolo club britannico dal nome Robin 2 (un “R n B club”, come recita il la didascalia sull’insegna del locale), ripreso con una regia video, benché piuttosto accurata nei cambi d’inquadratura, essenziale e priva di orpelli estetizzanti (con l’unica eccezione di qualche sporadico effetto in dissolvenza), che si adegua, in questo modo, a quella musica viscerale, vissuta e corrotta, ormai da parecchi anni (tra gli “alti” degli esordi e qualche “basso” di troppo nei tempi più recenti) innegabile specialità di casa Dogs D’Amour.
Stiamo ovviamente parlando di quel rock ‘n’ roll che parte dalle radici rhythm ‘n’ blues e s’imbastardisce di una vocazione trash diretta discendente di New York Dolls e Hanoi Rocks, di quel suono che istiga l’istinto e ti fa quasi scordare della ragione, di quell’arte “antica” e “arcinota” a cui però è quasi impossibile resistere.
Un dischetto digitale caratterizzato da una buona resa sonora, che si fregia con fierezza, nelle note di copertina, del classico “pure live – no overdubs” e ci propone un gruppo di musicisti piuttosto bravi e appropriati dal punto di vista attitudinale (con l’ospite Mark Stanway dei Magnum sorprendentemente a suo agio anche in questi territori assai lontani “da casa”), anche minimamente “coreografici”, grazie alla presenza della corista e performer Yella (abbastanza trascurata dalle inquadrature, si ritaglia un breve momento di “gloria” durante l’esecuzione di “Firework girl”, nella quale fa letteralmente “scintille”!) in abbigliamento e make-up d’estrazione gotica e in cui il vero protagonista, da “Get by” al bis “Satellite Kid”, non può che essere Tyla, istrione naturale esente da esibizionismi artificiosi.
Con il basso, la chitarra acustica, nel corso dei dialoghi con il pubblico (che si sente, ma che stranamente non si vede mai) o ancor di più quando canta le sue storie dissolute con quella voce bruciata da alcol e tabacco, è indubbiamente lui il gran cerimoniere del gruppo, il catalizzatore spontaneo dell’attenzione, l’elemento conduttore primario che agevola il trasferimento dell’elettricità del r ‘n’ r’ dal palco all’audience, dimostrando uno stato di forma in grande spolvero.
Non saranno mai ricordati dai posteri per la pulizia del loro suono, ma “Unleashed” è una prova ulteriore che questi zingari del rock “di strada”, anche se molto diversi dalla loro versione “storica”, sanno ancora distribuire emozioni e divertimento, almeno quando si ritrovano ad eseguire molti dei “classici” del loro repertorio nell’osmosi d’energia di un live show.
P.S. per dovere di cronaca ricordiamo anche la presenza di una comunque trascurabile sezione extra, in cui si segnalano il segmento “In the studio” (il Parkgate, per la precisione), dove si alternano tests di registrazione su suoni e parti vocali a momenti di relax, e una sufficientemente gustosa galleria fotografica.
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