Copertina 9

Info

Anno di uscita:2002
Durata:62 min.
Etichetta:Interscope
Distribuzione:Universal

Tracklist

  1. MILLIONAIRE
  2. NO ONE KNOWS
  3. FIRST IT GIVETH
  4. A SONG FOR THE DEAD
  5. THE SKY IS FALLIN’
  6. SIX SHOOTER
  7. HANGIN’ TREE
  8. GO WITH THE FLOW
  9. GONNA LEAVE YOU
  10. DO IT AGAIN
  11. GOD IS IN THE RADIO
  12. ANOTHER LOVE SONG
  13. A SONG FOR THE DEAF
  14. MOSQUITO SONG
  15. EVERYBODY’S GONNA BE HAPPY

Line up

  • Mark Lanegan: vocals
  • Josh Homme: guitar, vocals
  • Nick Oliveri: bass, vocals
  • Dave Grohl: drums

Voto medio utenti

Dopo aver dato vita ad un nuovo stile heavy e ad un’intera scena musicale con i Kyuss, altri si sarebbero pasciuti di gloria rielaborando all’infinito le medesime canzoni, trasformandosi in parodie di se stessi come purtroppo se ne vedono infinite in giro. Ma Josh Homme e Nick Oliveri sono fatti di tutt’altra pasta. Coloro che, come il sottoscritto, avevano assaporato i primi vagiti della loro nuova creatura nello split-cd con i Beaver e si erano poi entusiasmati per la straordinaria evoluzione messa a punto con “QotSA” e “Rated R”, oggi possono glorificarsi come primi discepoli di una formazione lanciata verso il successo mondiale grazie ad un lavoro che è il distillato di ogni loro precedente esperienza. Gli avidi compilatori delle classifiche di vendita si chiedono speranzosi:”QotSA i nuovi Nirvana?”. Basterebbe chiederlo a Dave Grohl, che si è impossessato del drumkit che fu di Hernandez, Lucero, Trautmann e quant’altri, e che improvvisati puristi dell’ultima ora addirittura accusano di aver troppo “metallizzato”. Personalmente ritengo questo gruppo troppo geniale ed astuto per lasciarsi divorare dal music-business come fu per il povero Cobain. “Songs for the deaf” infatti è un capolavoro che sfugge al tentativo di schematizzarlo e di creare inutili trend. Mix originale ed innovativo di immediate melodie pop-rock, svolazzi psichedelici, vigore hard rock, urgenze heavy metal, circolarità stoner, feeling neo-blues. Una vera e reale “opera rock” che nasconde in una apparente semplicità di facciata tessuti e trame complesse e profonde, quanto mai adatte ad infinite riletture. Non a caso il disco si presenta con le sembianze di un uomo che, salito in auto, ricerca alla radio brani di diversa fattura, presentati da una schiera di fantasiosi dj (il messicano:”QotSa, que musica impresionante y temibile!”). Praticamente ogni canzone può offrirsi come potenziale hit e dal metal-riff quadrato che scatena l’isteria nervosa di “Millionaire” fino al rilassamento acustico della bonus-track “Mosquito song” è tutto un susseguirsi di gioielli dalle mille angolature e sorprese. Abbiamo già assimilato il singolone “No one knows”, sviluppo finale e definitivo delle teorie robot-rock del fulvo chitarrista, quindi scopriamo la sfiancante pesantezza heavy che oscilla in “A song for the dead” chiusa dalla brillante coda anfetaminica oppure una “Hangin’tree” estrapolata dalle Desert Sessions, sontuosa melodia pop con echi di Masters of Reality inserita su una scattante base acid-rock ipnotizzante. Situazioni adatte a qualunque ascoltatore per la magica trasversalità tra le diverse scuole di pensiero musicale che è il vero fondamento del disco. Post-stoner? Loro inorridiscono solo alla parola, ma “Do it again” e la title-track profumano di deserto come poche altre canzoni e saranno imitate da chissà quante giovani stoner bands. Psych-rock? In abbondanza, ma leggero ed insinuante grazie alla capacità fenomenale di Homme di far volare i propri assoli nel territorio della mente senza narcisismi per esibire una classe che è superiore. Ragione per la quale “First it giveth” e “God is in the radio” emanano bagliori accecanti, ritmiche che vibrano ossessive addolcite da favolosa efficacia melodica, bulldozer incartati nel velluto. Poi il solito esercito di amici e proseliti, Lanegan, Lalli, Goss, Catching, Trautmann, ed altri ancora, per non smentire il progetto di formazione aperta dove ciascuno genera idee ed ogni idea viene assorbita ed utilizzata nella grande catena di bands che ruota intorno a questi personaggi, e poco importa si chiamino QotSa o Fatso Jetson se alla fine si realizzano albums di heavy universale che aprono un epoca nella quale crolleranno le obsolete barriere tra i generi. Pop-rock? Metal-pop? Nulla di tutto questo? Uno schizzo punk preso in prestito da “Cocaine rodeo” (“Six shooter”) per far felice Oliveri ed il suo stridulo canto e dare contrasto alle raffinate atmosfere di “The sky is fallin”,”Go with the flow”,”Gonna leave you”, che in alcuni frangenti paiono incesti tra le armonie vocali di Beatles e Beach Boys e lo sporco chitarrismo Hendrixiano e che per gli altri garantirebbero la caduta nel ridicolo, per i QotSA il simbolo della loro grandezza. Un disco che continui ad ascoltare chiedendoti come si fa a mettere ogni nota al posto giusto facendolo sembrare spontaneo e genuino, messo giù in un attimo. Un disco che tra dieci anni verrà citato anche da coloro che oggi fingono di ignorarlo come un caposaldo indispensabile del nuovo rock. Per questo, in antitesi alle frettolose recensioni-didascalia che caratterizzano quest’epoca di musica usa-e-getta, ritengo che “Songs for the deaf” meritasse un commento più articolato. Spero di essere stato in grado di valorizzare a sufficienza un lavoro del quale si parlerà negli anni a venire. E’ l’acquisto obbligatorio dell’anno.

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