Il canto degli uccelli e altri rumori della natura ci introducono al debutto della one-man band russa Skogyr, progetto messo in piedi dal mastermind Farakh con l'intento di realizzare lunghe composizioni basate su sensazioni malinconiche. Sono sicuro che l'ascolto di "Rainchants" sarebbe perfetto durante una passeggiata in montagna... tra panorami grandiosi e boschi pieni di mistero le atmosfere intrise di solitudine potrebbero essere libere di esprimersi in tutta la loro potenza. Tuttavia il difetto principale dell'album è l'estrema ripetitività che ne fa un prodotto adatto solamente ai più appassionati di questo genere a metà tra il pagan e il black, anche considerata l'assenza di vocals che avrebbero potuto rendere il risultato un po' meno omogeneo. Le composizioni sono infatti tutte piacevoli e ben costruite, ma gli elementi messi in gioco si contano sulla punta delle dita e finiscono presto per annoiare. I tempi sono sempre di media intensità, con chitarre melodiche e sognanti accompagnate da una sezione ritmica adeguata e da qualche sporadico accenno di tastiera. Tralasciata la cover di Akira Yamaoka posta in chiusura dell'album, non c'è nulla che possa sorprendere l'ascoltatore, abbandonato a una ripetitività fin troppo eccessiva. Credo che in questo caso l'innesto di un cantante avrebbe davvero potuto fare la differenza: a proposito non sono pochi gli esempi di musica simile a quella proposta da Farakh con risultati decisamente migliori. Non è certo un lavoro da buttare questo "Rainchants", con la sua carica di emozioni evocative e piene di suggestione. Che probabilmente apprezzerete solo se siete fanatici del genere, o inguaribili amanti delle sensazioni che solo una magnifica visione naturale è in grado di scatenare.
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