A Perfect Day: un nuovo inizio

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Il graditissimo ritorno degli A Perfect Day ci ha dato l’occasione per incontrare Andrea Cantarelli (chitarre) e Alessandro Bissa (batteria) e “sviscerare” il loro ultimo lavoro “The Deafening Silence”. Ecco il resoconto di una piacevole e approfondita chiacchierata che si chiude con un messaggio e un invito che personalmente condivido appieno…

Ciao e benvenuti sulle pagine di Metal.it! Partiamo dal nuovo disco: quale sarebbe il “silenzio assordante” a cui fate riferimento il titolo?
Andrea: Ciao a tutti voi e grazie per lo spazio che ci avete concesso. Il “silenzio assordante” è il “trait d’union” che collega le liriche dell’album. Solo dopo aver completato i testi dell’album, mi sono accorto di questo elemento comune. Dal silenzio che ha caratterizzato i tre lunghi anni intercorsi tra il nostro album di debutto a questo nuovo lavoro, al silenzio di una donna vittima di violenza; da quello legato all’incomunicabilità tra persone, a quello imposto da qualcuno che, ahimè, non è più tra noi.
Come nasce un brano degli APD?
Andrea: Come avvenuto per il primo album mi sono preoccupato di scrivere le idee musicali, trasformate poi in canzoni vere e proprie grazie alla grande collaborazione con gli altri ragazzi della band. Marco si è occupato interamente delle linee melodiche vocali (oltre alla musica di “Angel”). I testi sono stati scritti alla fine. È un processo molto naturale ed ormai collaudato.
Ho trovato i testi davvero superiori rispetto alla media di quelli che mi capita di leggere solitamente: cosa vi ha spinto ad affrontare certe tematiche?
Andrea: Innanzitutto grazie per il complimento. I testi, per me sempre molto importanti, spesso vengono messi un po’ da parte da chi ascolta, mentre credo che la musica trovi il suo completamento e la propria identità grazie appunto alle liriche. Era la prima volta in carriera che mi cimentavo nella scrittura dei testi e mi è venuto spontaneo raccontare della mia quotidianità, dei temi a me cari come persona, cogliendo spunti dalla mia sfera personale o da argomenti di interesse comune quali l’estremismo religioso, per fare un esempio.
L’abbandono di Roberto Tiranti deve essere stato un duro colpo: come è stato ripartire quasi da capo? Come siete venuti in contatto con Marco e Gigi?
Andrea: Non ti nascondo che dopo l’abbandono di Roberto ho pensato di mettere la parola fine al progetto. Fortunatamente l’ottimo ritorno da parte del pubblico e degli addetti ai lavori, sommato alla mia voglia di scrivere musica, ha fatto sì che trovassi la forza per riprovarci. Non ero certo che il tutto sfociasse in un nuovo album. Volevo che il secondo album degli APD non fosse qualitativamente inferiore al primo, anzi. Gusti personali a parte, se siamo nuovamente qui è perché crediamo che gli obiettivi che ci eravamo posti sono stati pienamente raggiunti. Conosco Marco sin dai tempi del liceo e per me l’aspetto umano viene prima di quello musicale. Marco è inoltre anche un ottimo chitarrista e dispone di un talento naturale nello scrivere melodie, sempre molto efficaci e dirette ma al contempo mai banali. È infine un ottimo frontman, per cui non potevo chiedere di meglio. Anche Gigi è una vecchia conoscenza. Condividiamo la passione per molti gruppi musicali, ed è anch’esso una persona splendida ed un musicista incredibile. La formazione attuale, completata da Alessandro alla batteria è quanto di meglio potesse capitarmi.
Alessandro: Io non conoscevo Marco né Gigi ma, essendo loro ottimi professionisti e assolutamente in linea col nostro pensiero, è stato piuttosto facile ottimizzare le risorse ed i tempi. Tutto è andato oltre le aspettative e ne siamo davvero contenti.
Il passaggio da Frontiers Records a Scarlet Records ha influito in qualche modo sul vostro lavoro?
Andrea: Non direi. Che il mercato discografico sia ormai definitivamente morto è sotto gli occhi di tutti. Ogni volta che completo un album scelgo semplicemente la dimora che reputo più opportuna, quella che in teoria permette al gruppo di crescere. Senza togliere nulla al lavoro delle labels, la partita oggi si gioca su altri campi. Il palco, prima di tutto, e poi Internet. Certo, poter lavorare con una major è un sogno che continuo a coltivare. Ma credo che la strada vada percorsa a piccoli passi.
Avete in programma di promuovere l’album dal vivo?
Andrea: Certamente! Dobbiamo recuperare il terreno perduto, non avendo mai suonato a supporto dell’album di debutto. Abbiamo già pianificato 4 date da qui a Giugno e ne verranno sicuramente altre, anche molto importanti. Sulla nostra pagina Facebook (www.facebook.com/APDBand), trovate ogni aggiornamento in tal senso.
Alessandro: “The Deafening Silence” è uscito da poco e abbiamo scelto di fare qualche show di rodaggio in vista della prossima stagione estiva ma soprattutto quella invernale.
Il vostro è un sound che definirei molto “malleabile”; esiste qualche direzione musicale inesplorata finora che vi piacerebbe approfondire?
Andrea: Ho “creato” gli A Perfect Day con l’intenzione di non pormi limiti rispetto a quanto avrei proposto musicalmente. Credo però altrettanto importante costruirsi la propria identità, il proprio sound e i primi due album hanno tracciato in maniera molto forte il nostro stile. Nel nuovo lavoro, se mai uscirà, non mi dispiacerebbe approfondire la dimensione acustica della band. Vedremo.
Descrivete Giovanni Nebbia come il quinto membro della band? Potete spiegarci perché?
Andrea: Leggevo qualche giorno fa una recensione dove si toccava il tema delle riprese in studio, del mix, ritenendo l’album migliorabile da questo punto di vista. Se da una parte ogni opinione è per sua natura rispettabile, trovo curioso come sia possibile mettere a fattor comune le produzioni di band come la nostra, con quelle di band ben più affermate. Non è un segreto che i budget a disposizione delle band del nostro calibro siano ormai risibili, ed allora lavorare sui dettagli con il fine di produrre un disco “credibile”, diventa l’unica strada perseguibile. Giovanni Nebbia è un maestro in questo. Ha la grande abilità di far suonare in maniera professionale album registrati con budget semplicemente non adatti, non solo grazie alla sua abilità di fonico ma soprattutto grazie alla sua abilità di arrangiatore e produttore. Detto questo no, “The Deafening Silence” non suona come il “Black Album” (ride, ndr)!
Una cosa che ho sempre apprezzato degli spin-off di molti musicisti avviati come voi è la capacità di riuscire a mantenere ben distinte e separate le anime artistiche dei vari progetti in cui siete coinvolti: potete spiegarci come si fa?
Andrea: Credo che sia una conseguenza naturale. La voglia di dare origine ad uno spin-off spesso è dettata dai confini che la tua band principale ti impone. In passato ho commesso l’errore di non scindere questi aspetti e fatto sì che venissero dati alla luce album come “Freeman”, per me dopo “Return To Heaven Denied” il miglior album dei Labyrinth, ed ovviamente accetto insulti (ride, ndr), che come risultato hanno ottenuto solo quello di disorientare il nostro pubblico. La mia passione per la musica è tale e tanta da non poter essere soddisfatta solo con i Labyrinth. Sentivo il bisogno di esprimermi fino in fondo e con gli A Perfect Day ho raggiunto l’obiettivo. Mi diverto, un sacco, ed è l’unica vera ragione per cui continuo a suonare.
Alessandro: Credo che questo sia possibile solo quando si possiedono creatività e una certa sensibilità musicale. In effetti alcune soluzioni non sono consone al percorso di una band principale e si preferisce creare una nuova entità piuttosto che accantonare o buttare del materiale. Chiaramente questo non vuol dire mettere sul mercato qualunque cosa esca da una sala prove o da uno studio di registrazione ma se si è convinti, come lo siamo noi, che un progetto deve essere supportato, tutto viene da sé.
Ho notato un netto contrasto tra l’artwork del debutto e quello del nuovo disco, sbaglio?
Andrea: Sì e no. L’autore degli artwork e dei video degli APD era ed è Emmanuel Mathez. Ormai è stato fatto davvero di tutto. A priori non si può sapere cosa possa funzionare davvero oppure no. E allora ci divertiamo a sperimentare e questo approccio è comune ai due album. A questo giro volevo uscire dai canoni del metal classico e giocare un po’ con l’immagine del gruppo, cercando la simbiosi tra musica ed immagine. La copertina ha generato molti commenti, anche negativi, ma nel suo piccolo ha colpito e questa è l’unica cosa che conta. Inizialmente avevo avuto l’idea di uno zombie, occhi scavati e capelli bianchi, sparati. Magari disegnato nell’intento di combattere contro Satana, o rinchiuso in una cella di sicurezza, incatenato. Poi un mio amico avvocato mi consigliò di lasciar perdere. Ancora oggi mi chiedo il perché (ride, ndr)!
Con i musicisti mi piace parlare di musica, per cui lo chiedo anche a voi: cosa ascoltate nel tempo libero?
Andrea: Purtroppo anch’io sono affetto dalla malattia che ha colpito molti di noi ascoltatori incalliti: la mancanza di tempo. Io credo che oggi il vero problema della musica stia proprio in questo. Sempre più difficilmente riusciamo a dedicare anche una sola ora del nostro tempo per ascoltare, e non semplicemente sentire, un album. Non riusciamo più ad affezionarci alle nuove band, perché non conosciamo più l’odore di un vinile, non ci immergiamo fino in fondo nella lettura dei booklet. E non solo perché le nuove proposte non sono all’altezza. Ci siamo impigriti. Compriamo gli album ed andiamo a vedere sempre le stesse band (io per primo) perché sicuri di quanto ci troveremo di fronte. Senza troppi sbattimenti. Le conseguenze sono chiare a tutti. Il cosa fare un po’ meno. Personalmente apro le orecchie quando un amico, un collega o per caso mi accennano a qualcosa degno di nota. In questi giorni sto ascoltando a ripetizione “Pure Air” di Anneke Van Giersbergen che a sua volta mi ha fatto atterrare su Damien Rice. Nella mia playlist attuale ci sono poi gli inossidabili Lynyrd Skynyrd, i Black Stone Cherry, ed ovviamente gli A Perfect Day!
Alessandro: Nel tempo libero non ascolto musica perché è quello che faccio per fortuna di lavoro è avere la musica nelle orecchie (ride, ndr)! Scherzi a parte, ultimamente ho dedicato un po' di tempo ai Winery Dogs e ai Circus Maximus.
Grazie per il tempo che ci avete dedicato. A voi lo spazio per un saluto ai nostri lettori!
Andrea: Grazie a voi! Chiudo con un invito: non sottovalutate le band italiane solo perché appunto italiane. Abbiamo tanti gruppi che non hanno nulla da invidiare a band straniere. Siamo un paese esterofilo, da sempre. Forse è arrivato il momento di cambiare, almeno un po’. Spero che il nostro lavoro contribuisca a creare un po’ di fiducia in più.
Intervista a cura di Gabriele Marangoni

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