Col loro primo lavoro i Mastodon ci regalano 50 minuti di violenza a cavallo tra un selvaggio post-hardcore (Kelliher e Dailor furono membri dei Today Is the Day) e quella vena maggiormente "progressiva" che caratterizzerà il futuro prossimo della band (dove sarà evidente il ruolo di Hinds come main songwriter) mostrando con abilità eccezionale la fertilità della proposta di cui questo debutto acido, storto ed abrasivo quanto basta è alfiere.
Dopo l'ottimo debutto, la band di Atlanta incomincia con Leviathan la ridefinizione delle coordinate di un intero genere, dando una precisa idea di cosa significa fare metal nel XXI secolo, divenendo, non a caso, i capostipiti di quel filone sludge/prog che vedrà in band come Baroness o Kylesa dei buoni interpreti. Lo stile del disco segna uno sviluppo notevole rispetto al debut mettendo a frutto le innumerevoli influenze: Neurosis, Melvins e High on Fire su tutti.
Un grandissimo disco con canzoni spettacolari, ottima tecnica, sempre e solo funzionale alla struttura di brani caratterizzati da riff incalzanti, fraseggi e soli da urlo e un senso melodico di gran gusto che rende un disco di assimilazione tutt'atro che semplice estremamente godibile. L'inconfondibile Mastodon sound è servito.
Il più grande disco metal degli anni 2000. Dopo averci deliziato con le due uscite precedenti, i Mastodon di Crack in the Skye ci regalano il loro apice artistico in cui dimostrano tutto il loro strapotere tecnico e compositivo. Immortale.
Dopo il capolavoro, i Mastodon sfornano un album evidentemente più immediato, dalle strutture più lineari e con meno pretese. Il risultato è un buon album con innesti psichedelici e richiami settantiani. The Hunter è un'uscita che sa divertire, di certo più accessibile ma non priva di spunti stilistici di grande interesse. Capisco però che non sia una band per tutti. (7.5) P.S.: ottimi soli.
Un passo avanti rispetto al precedente, pur sviluppandone alcuni spunti stilistici. Articolato, vario e curato nei minimi dettagli per poter esaltare ogni soluzione. Viene riproposto un sound più aggressivo rispetto al precedente e la cosa non può che farmi gioire. L'aura epicheggiante, restituita soprattuto dalle vocals di Troy Sanders, del secondo e del terzo disco viene qui incorporata e rielaborata in canzoni composite in cui gusto melodico e riff abrasivi convivono perfettamente. (8)
Mi ci sono voluti anni per capire ed apprezzare questa band. Questo omonimo album che ha segnato il ritorno della band al suo doom sulfureo e melancolico è un'ottima prova che offre brani ricchi di melodie mai banali e atmosfere ottime. songwriting piusttosto ispirato.
Plumbeo è dire poco... un'altro ottimo disco, anche meglio dell'omonimo: ancora più oscuro e straziante.
Ricordo che nel 2009, a fine anno, nella mia personale classifica era secondo solo a Crack in the Skye. Riff possentissimi, assoli magnifici di MacKintosh e choruses eccezionali. Ispiratissimo.
Niente da dire, disco magnifico. Scritto, suonato e prodotto da Dio come al solito. Un pezzone meglio dell'altro, citarne alcuni oscurando gli altri è un delitto ma episodi come la opener, Fear of Impending Hell, Honesty in Death o la title track ti si stampano in mente in modo indelebile fin dal primo ascolto.
Purtroppo l'ultimo, per una delle mie band preferite. Dopo aver recuperato quello stampo più classicamente doom da WCD in poi, i TON ci regalano un ottimo, anche se prematuro, canto del cigno prima della scomparsa di Pete il 14 aprile 2010.