Esseri empi ed innominati si contorcono nell’ombra.
Non puoi vederli, non hai modo di percepirne gli spostamenti, non sai se si siano accorti o meno della tua presenza… eppure ogni minimo, impercettibile sentore di movimento intorno a te riesce a gelarti il sangue delle vene.
La musica degli
Ævangelist è così: ti cinge pian piano, avviluppandoti in una cappa di oscurità subliminale e terribilmente concreta al tempo stesso.
Approcciarsi al loro nuovo
Writhes in the Murk, sgombriamo subito il campo da eventuali dubbi, è esercizio arduo: bordate death si alternano a stacchi jazz (con tanto di assolo di sax sulla allucinata
Ælixir), raggelanti sussurri convivono con un inumano growling, riff sghembi alla
Portal si contendono la scena con altere parentesi dark ambient e martellanti iniezioni industrial… brani lunghi e aggrovigliati si dipanano senza apparente filo conduttore, in palese spregio alle regole della forma-canzone, sospinti unicamente dalla necessità insopprimibile di diffondere nell’aere il germe della malignità e della follia.
Questo, per quanto mi riguarda, è ciò che conta.
Il mezzo attraverso cui raggiungere il nobile fine, volendo entrare per un attimo nel dettaglio, appare congruo con l’evoluzione intrapresa dal fantastico
Omen Ex Simulacra; lavoro in cui, come giustamente rimarcato dal “nostro” Emiliano Verrecchia (torna, ci manchi!), il duo statunitense abbandonava la folle spontaneità dell’esordio per abbracciare soluzioni più ragionate.
Writhes in the Murk, rilasciato da
Debemur Morti a meno di un anno (!) di distanza dal predecessore, prosegue lungo lo stesso solco, ampliando ancor più l’arsenale sonoro a disposizione di
Matron Thorn e
Ascaris, anestetizzandone in parte le pulsioni violente ed incanalandole su binari d’inquieta introspezione.
Da ciò deriva un’esperienza uditiva davvero impegnativa, frammentaria, addirittura straniante in taluni frangenti. Sappiatelo: qua e là v’imbatterete in passaggi noise, ai limiti della cacofonia pura, che vi metteranno a dura prova. Inoltre, è bene sottolineare che una proposta di questo tipo necessita di tanta pazienza e di condizioni ambientali compatibili: fruitene alla luce del sole, a basso volume, mentre vi concedete una partitella a
Piante Contro Zombi, e avrete sperperato ogni possibilità di farvela piacere.
La produzione, convulsa anzichenò, e il mixing, troppo penalizzante per sample e synth (ingredienti che ritengo di centrale importanza nella ricetta sonora dei Nostri), contribuiscono a rendere ancor più nitido l’alone d’imperfezione che circonda
Writhes in the Murk.
Imperfetto, sì, eppur pregno di un fascino che poche opere al giorno d’oggi possono vantare.
Il fascino del Male, quello vero. Mica cotiche.