Cari, carissimi Mr. Big…tra tutte le storie che avreste potuto raccontarci questa potevate evitarla, davvero. Un disco anonimo insieme alla notizia della malattia di Pat Torpey, a poche settimane di distanza da un tour che ha l’amaro sapore dell’addio. Tutto insieme, per chi vi ha amato e continua ad amarvi di un amore vero, è quasi troppo da sopportare.
Si parte con
Gotta Love The Ride, singolo di dubbie potenzialità, che un po’ rimane e un po’ innervosisce, ma sicuramente non ha nulla a che fare con quella
Undertow che pochi mesi fa fece irruzione nelle nostre vite riportando il mito tra noi.
I Forget To Breathe è abbastanza divertente ma non colpisce affatto, mentre
Fragile e
Satisfied rientrano in pieno nello stile della band, ma tra quei pezzi che lasci andare senza prestarci troppa attenzione. Al quinto posto nella tracklist troviamo la prima ballad, buona ma non epocale, mentre l’intro di
The Monster In Me riesce finalmente a far sobbalzare, anche se è seguito dall’ennesima canzone spenta e ripetitiva, che tra l’altro propone un ritornello di rara bruttezza. Gradevole blues rock con
What If We Were New, seguita dall’acustica radiofonica
Eastwest, ma anche qui non aspettatevi particolari miracoli.
The Light Of Day è un pezzo in pieno stile Gilbert (alla Bliss, per intenderci) e rappresenta sicuramente uno dei pochi capitoli degni di nota, mentre la successiva
Just Let Your Heart Decide è l’ultima ballad, decisamente più a fuoco ma ancora una volta non in grado di emozionare davvero l’ascoltatore. La tripletta finale è infine lo specchio perfetto del disco: brani che non decollano, strumentalmente validi ma poco trascinanti.
Tutto si gioca sui mid-tempo, su una melodia che mai raggiunge l’ispirazione altissima del passato, su qualcosa che prova a diventare interessante ma non ci riesce quasi mai. Tutto ciò avviene in mezzo a una classe che trasuda da ogni nota ma è come fosse frenata, non si capisce poi bene da cosa. La sensazione che rimane è quella di un’opera evitabile, che potrei definire “stanca”, così come stanca, in moltissimi passaggi, sembra anche la voce di Eric Martin, che forse più degli altri sente gli anni che passano. Non ho idea del peso che la malattia di Torpey possa aver avuto nel processo di songwriting, non posso sapere se le vecchie ruggini siano tornate a farsi sentire nelle settimane passate in studio, ma il risultato sonoro è largamente al di sotto delle aspettative.
E non venitemi a dire che ci sono tante cose carine, perfavore! E’ un disco dei Mr. Big, in fondo, cosa volete trovarci? Io ci volevo trovare tante bombe rock and roll, tanti assoli da far venire il mal di testa e tante ballad strappamutande: non c’è nulla di tutto questo.
Si prendono sei perché a mettergli cinque non ce la faccio. Lasciamo perdere questo disco, prepariamoci a vederli dal vivo e a salutarli come meritano: in piedi, con gli occhi lucidi, tributandogli un lunghissimo applauso.