Chi vi parla
NON è mai stato un fan dei
Nevermore.
Chi vi parla, quando giornali ed audience erano in estasi per dischi come "
Dreaming Neon Black" o "
Dead Heart in a Dead World", era in un angolino buio, al freddo, tra le ragnatele, con un walkman della Sony ad ascoltarsi per la tremilionesima volta quei capolavori a nome "
Refuge Denied" ed "
Into the Mirror Black".
Ho sempre amato i
Sanctuary così quanto ho sempre detestato i Nevemore, "colpevoli" di avermi tolto una delle band più efficaci e geniali del panorama di fine '80.
E quando
Warrel Dane ha annunciato la reunion...beh, temevo sarebbe andata così.
E' troppo facile andare a ripescare nel (lontanissimo) passato quando non si può più andare avanti coi Nevermore, perchè questo "
The Year The Sun Died" non è altro che un disco dei Nevermore con un altro logo sovrapposto.
Il mood che pervade il disco è quello "nevermoriano" al 100%, triste, depressivo e - concedetemelo dato che era il motivo del mio ripudio - palloso, la voce che contraddistingueva i vecchi Sanctuary è solo un lontanissimo e sfumato ricordo, così come le variazioni, i cambi di tempo, le accelerazioni e le sfuriate di un tempo, tutte svanite nel tempo ed assorbite dal nuovo songwriting di Dane, uno che senza dubbio ha un'esperienza fuori dal comune ma che ormai viaggia col pilota automatico da tanto, troppo tempo, e per onestà di cronaca ne ha ben donde, dato che è dallo stesso tempo viene acclamato per dischi che seppur buoni sono lontanissimi dallo status di capolavori che gli viene riservato.
Qualche brano discreto ovviamente è presente, come l'opener "
Arise and Purify" o "
Question Existence Fading", nonchè i coinvolgenti assoli della coppia d'asce
Rutledge/Hull, mentre in fase di ritmica qualche riffs è davvero stupefacente nella sua banalità.
Una produzione come sempre poco in linea con quanto incarnato dai Sanctuary fino ad oggi, accentuata da brani (l'oscena "
Exitium", tanto per fare un nome) più degni dei Type O Negative che da una formazione da sempre catalogata come power thrash. E sulla voce di Dane...lasciamo stare.
La nomenclatura, checchè se ne dica, è importante.
I nomi, le etichette, sono la nostra vita: ogni cosa che ci circonda è rappresentata da un vocabolo, un aggettivo, qualcosa che la contraddistingua.
Altrimenti, mentre adesso state usando Whatsapp per mandare un messaggio ad un vostro amico per dirgli quanto Grazioli non capisca nulla di musica, sul vostro cellulare non leggereste Apple o Samsung, ma Alcatel o Huawei.
Questo disco
NON doveva uscire a nome
Sanctuary, solo perchè Dane è ancora il rappresentante legale di quel marchio.
Questo disco, cari fans di "
Refuge Denied" ed "
Into the Mirror Black", con quei capitoli non c'entra davvero nulla. Nessuna volontà di riprendere un discorso interrotto, solo una forzatura di fronte ad un'impossibilità legale.
Non fate il mio stesso errore.
E non concedetegli nemmeno un ascolto.