Diventa difficile recensire per la quarta volta lo stesso gruppo senza ripetersi, soprattutto se non ci sono stati grossi cambiamenti tra un album e l'altro. A maggior ragione se la band è meritevole ma da queste parti non se l'è cagata nessuno.
Sto parlando degli
Alfahanne, i goth rocker svedesi che esordirono nel 2014 con
Alfapocalypse un gran bel disco che mixava elementi black, gotici ed un certo rock 'n' roll maledetto, proponendo canzoni "facili" ma nere nell'anima e capaci di farti muovere il culo. Gran bella roba.
Con i successivi due lavori i nostri hanno poi alleggerito abbastanza la loro proposta, privilegiando canzoni più dirette e semplici, accantonando un pochino di cattiveria black ma perdendo anche parte del loro fascino.
Con il nuovo
Atomvinter gli
Alfahanne tornano a fare sul serio e riescono a miscelare in maniera più credibile ed efficace le due facce del loro suono in cui emerge, lo ricordo, una piccola spruzzata punk. È vero che le canzoni utilizzano uno schema ben collaudato ma, per la prima volta, la band ha scelto di cantare alcuni brani in inglese, affiancandolo così all'indigesto e spigoloso svedese. La pronuncia è molto tagliente e l'accento si sente tutto ma le canzoni ci sono e la variabile dell'idioma le rende più "appetitose".
La loro dark wave, rivisitata in chiave estrema, si spalma sulle nove tracce con una importante dose di nichilismo. I ritmi non sono mai troppo veloci ma le canzoni sono davvero nere, maledette e, nonostante una facilità d'ascolto notevole, si percepisce uno scenario post apocalittico non comune. Personalmente lo trovo eccellente come diversivo, come stacco, dalle abbuffate ci classic, death e doom che faccio solitamente.
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