Ho sempre apprezzato i
Therion per l’ambizione dei loro lavori, dagli esordi death metal alla controversa e mastodontica rock opera
“Beloved Antichrist”, passando per la tetralogia prog/sinfonica pubblicata tra il 2004 e il 2010, e l’altrettanto discusso omaggio a Baudelaire - cantato in francese - dal titolo
“Les Fleurs Du Mal” (che
Nuclear Blast non volle pubblicare costringendo la band a distribuirlo autonomamente).
Oggi esce
“Leviathan” e dell’ambizione di cui sopra non è rimasto praticamente nulla (e nei comunicati ufficiali, di questo aspetto
Christofer Johnsson ne parla quasi con orgoglio).
L’album in sé non è brutto, ma è un lavoro “come tanti”, una raccolta di brani heavy/sinfonici essenziali (si tratta di uno dei lavori più brevi mai realizzati dalla band, con
“Great Marquis Of Hell” che è un po’ il simbolo di questa nuova tendenza), ammiccanti ma poco ispirati (penso all’introduttiva
“The Leaf Of The Oak Fear”, alla titletrack, alla ballad
“Die Wellen Der Zeit” e alla conclusiva
“Ten Courts Of Diyu”) - con tanto di guest “di grido” (
“Tuonela” vede la partecipazione di
Marko HIetala dei
Nightwish) - e molto spesso palesemente derivati dal glorioso passato della band (
“Aži Dahāka” è forse l’esempio più evidente, ma tutta la seconda metà del full-length manca di concreta originalità o inventiva).
Per chi scrive, l’album meno a fuoco dei
Therion dall’uscita di
“Sitra Ahra”, ma chissà, forse si tratta proprio di ciò che molti fan aspettavano da anni.
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