Questo album avremmo dovuto averlo nelle mani ben due anni fa, e ascoltarne qualche estratto dal vivo, ma tutto si è cristallizzato causa pandemia.
Ma ora ho nelle mie orecchie, spero presto nelle mie mani avrò il diciassettesimo album in studio della band che ha superato il suo stesso mito e leggenda, ovvero gli
Iron Maiden.
Quando seppi che i nostri sei moschettieri avevano registrato un nuovo doppio mi sono detto, oh no! Perché il penultimo “
Book Of Souls” anch’esso doppio mi aveva in parte deluso con brani decisamente fuori fuoco, invece con questo disco mi sono ricreduto in parte.
La titletrack è spiazzante, mi aspettavo una partenza bomba invece che fa il buon
Steve Harris? Cuce un epico mid tempo sostenuto da riff rocciosi, ritmiche lente ma pregne di pathos con un
Dickinson in parte come al solito e dei solos ben fatti, anche se a mio modesto parere se fosse stato asciugato un pochino avrebbe avuto un impatto maggiore alle mie orecchie.
Il metal torna con “
Stratego”, pezzo di soli cinque minuti, cavalcata che recupera certe soluzioni del passato con un bel ritornello.
Ecco veniamo al primo singolo uscito e terza traccia del nuovo album; “
Writing on the wall” non mi aveva entusiasmato, ma ora ascoltandolo con un mixing decente devo dire che il brano non è male, soprattutto l’introduzione acustica e quel profumo elettrico di trame folk che regge l’architrave di tutto; il singer fa un figurone, non si grida al miracolo ma ha riacquistato punti.
Altro pezzo veloce è anche “
Days of future past” (che cita nel titolo una famosa saga marveliana mutante), up tempo roccioso godibile e con buoni assoli.
Putroppo “
Darkest hour”, brano denso e drammatico non mi entusiasma; mi sembra riprendere certe atmosfere dai loro album passati ma è meno focalizzato e soprattutto risulta noioso a tratti.
Invece “
Death of the celts” mi ha piacevolmente sorpreso; brano di dieci minuti tra sfumature prog con le tastiere sempre presenti ed un feeling madrigalesco coinvolgente.
Davvero un ottimo pezzo, finalmente la quadra è raggiunta perché si viene emotivamente trasportati in un tempo lontano e in questo il gruppo londinese è maestro.
Ed ore veniamo al brano finale “
Hell on earth”, solito arpeggio iniziale, atmosferico, ma, si c’è un ma, perché questa conclusione è ispirata e per certi versi ha un sapore conosciuto.
Partenza lenta ma che diventa una cavalcata che mi ha fatto saltare per la qualità del riff finalmente; bella la linea vocale ma soprattutto l’epicità che si respira è tangibile e ho idea che dal vivo questo brano potrebbe rendere molto bene.
Una parola anche per le chitarre, i solos sono ben eseguiti ma soprattutto distinguibili per stile e complementari.
In conclusione com’è questa nuova fatica della Vergine Di Ferro? Non è un capolavoro, ma nel complesso è un bel disco; la produzione del fidato
Kevin Shirley non riesce a piacermi e pazienza ma devo dire in tutta onestà che certi eccessi della precedente uscita non ci sono e una menzione d’onore va a
Bruce Dickinson che nonostante l’età non più verde e il segno purtroppo lasciato dalla malattia che lo aveva colpito si dimostra un leone;
Up The Irons!