Copertina 7

Info

Anno di uscita:2021
Durata:60 min.
Etichetta:earMUSIC
Distribuzione:Edel

Tracklist

  1. 7 AND 7 IS
  2. ROCKIN’ PNEUMONIA AND THE BOOGIE WOOGIE FLU
  3. OH WELL
  4. JENNY TAKE A RIDE!
  5. WATCHING THE RIVER FLOW
  6. LET THE GOOD TIMES ROLL
  7. DIXIE CHICKEN
  8. SHAPES OF THINGS
  9. THE BATTLE OF NEW ORLEANS
  10. LUCIFER
  11. WHITE ROOM
  12. CAUGHT IN THE ACT

Line up

  • Ian Gillan: vocals
  • Steve Morse: guitar
  • Don Airey: keyboards
  • Roger Glover: bass
  • Ian Paice: drums

Voto medio utenti

Come si fa non voler un bene dell’anima ai Deep Purple? Una band che dopo 53 anni di carriera, 21 album in studio, un’infinità di album live e soprattutto un fantastilione di concerti in giro in ogni parte del mondo ha ancora una voglia fottuta di divertirsi che manco una band di quindicenni riesce a dimostrare allo stesso modo (date un’occhiata al video di “Oh well”, spassosissimo).

Già, perché è proprio questo che è “Turning to crime”, ventiduesimo disco della band inglese, un puro e semplice divertissement, né più né meno, ed è esattamente così che bisogna approcciarsi all’ascolto, senza pretese, senza salire in cattedra cercando di trovare difetti che, diciamolo subito, non ci sono, a differenza di altre operazioni simili messe su da gruppi anche di alto livello, ma riuscite molto meno bene.

Pensate davvero che i Deep Purple debbano dimostrare qualcosa a qualcuno dopo una carriera del genere? Assolutamente no, per cui nessuno storca il naso se per questa volta si son voluti togliere lo sfizio di pubblicare un album contenente esclusivamente cover, visto, peraltro, che la pandemia ha bloccato la promozione del validissimo “Whoosh!”. E poi la rivisitazione di brani altrui è una procedura che è sempre appartenuta alla band, fin dagli esordi. Qualche esempio di celebri brani riproposti dai nostri, spesso e volentieri meglio degli originali? “Hush”, “Hey Joe”, “Lalena”, “Kentucky woman”, “We can work it out”, “Help!”, “River deep, mountain high”, le più recenti “It’ll be me” e “Roadhouse blues”, senza dimenticare le autorivisitazioni di “Bloodsucker” e “And the andress”. E ancora, le versioni live di “Paint it black” e “Lucille”, che nei primi anni di carriera erano punti fermi della scaletta. Per cui, come vedete, niente di cui doversi meravigliare…

Detto ciò, com’è “Turning to crime”? È un vero spasso di disco! Divertente a più non posso, ci mostra una band di arzilli ultrasettantenni alle prese con brani simbolo della loro gioventù, quindi un repertorio che pesca a piene mani dagli anni ’50 e ’60, un po’ come già fatto proprio dallo stesso Gillan con i The Javelins tre anni fa. Inutile dire che, pur non stravolgendo assolutamente la struttura dei brani originali, i nostri cinque paladini imprimono a fuoco il proprio marchio su tutti e dodici i brani, a tal punto che se qualcuno di voi dovesse ascoltarne uno qualsiasi senza conoscere l’originale, non avrebbe mezzo dubbio ad attribuirlo ai Deep Purple stessi.

E se Glover svolge il suo lavoro come al solito in maniera certosina e impeccabile, e Airey tira fuori assoli bellissimi, spaziando, sornione, dall'hammond al piano al moog, sono proprio gli altri tre a venir fuori prepotentemente: Gillan sembra quello più a suo agio a cimentarsi con brani che spaziano dal beat al blues al rock and roll al rhythm and blues al country; Morse li impreziosisce tutti con assoli dal tocco inconfondibile ed armonizzazioni che donano quel tocco di personalità e di trade mark Deep Purple che non guastano mai; e Paice? Beh, Paice fa quello che fa ininterrottamente da 53 anni a questa parte, impartisce lezioni di batteria con partiture stupende, riuscendo a far risultare semplici anche i passaggi più complicati.

Insomma, senza troppi giri di parole e senza perdersi in un inutile track by track, vi dico solo che questo disco lo ascolterete fino allo sfinimento, tanto è coinvolgente e genuinamente piacione. E per una volta tanto nella vita non fate i pesanti, non scervellatevi per cercare il pelo nell’uovo, divertitevi premendo play e lasciandovi trasportare dalla travolgente positività di un album messo su da musicisti con due attributi così. Ascoltate la finale “Caught in the act”, una sorta di super medley di quasi otto minuti (vediamo chi individua tutti i brani citati), per capire cosa intendo dire…

Le mie preferite? “White room”, “Oh well”, “Jenny take a ride!”, “7 and 7 is” e, appunto, la già citata “Caught in the act”, veramente stupenda! Ma il disco merita tutto, per cui non indugiate e fatelo vostro…
Recensione a cura di Roberto Alfieri

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