Dal momento che il titolo dell’ultima fatica dei
Then Comes Silence tira in ballo l’appetito, cercherò di riassumere il mio pensiero con una raffinatissima metafora culinaria (vieppiù impreziosita da rima): quest’
album sazia, ma non delizia.
Eppure, gli ingredienti utilizzati sono grosso modo i medesimi che hanno reso prelibati i dischi precedenti: abbondanti dosi di
goth rock in salsa
dark anni ’80, con una scorza di
post-punk a conferire sentori aspri e, per converso, una spruzzatina di
wave per rendere il piatto più digeribile agli avventori occasionali.
Temo, tuttavia, che a questo giro si sia verificato qualche inconveniente nei dosaggi, tanto che “
Hunger” risulta inopinatamente sciapo.
Colpa forse di una rinnovata vena commerciale, che ha sopito gli elementi più sferzanti e tenebrosi del
sound degli svedesi, o forse di una produzione sì curata, ma priva di dinamica e mordente; o ancora, e soprattutto, di un
songwriting tanto affidabile quanto povero di guizzi davvero degni di nota.
Dai solchi di questo
platter, infatti, emergono mestiere e solidità più che ispirazione e qualità.
Così, a buoni episodi come l’
opening track “
Tickets to Funeral”, la minacciosa “
Blood Runs Cold” o la nervosa “
Worm” fanno da contraltare “
Rise to the Bait”, sorta di copia sbiadita di “
Small Town Boy” dei
Bronski Beat, le svenevolezze
romantic pop di “
Cold From Inside” ed episodi sostanzialmente qualificabili come riempitivi (sì “
Weird Gets Strange” e “
Pretty Creatures”: ce l’ho con voi).
Insomma, da “
Hunger” mi sarei atteso sangue, seduzione, oscurità e decadenza, ed invece mi son ritrovato tra le mani un prodotto piacevole ma in definitiva sorvolabile.
Proprio come gli spaghetti per turisti serviti nei ristoranti con affaccio sulle piazze principali delle nostre città.
Ormai, l’avrete intuito, ho deciso stolidamente di percorrere sino in fondo lo scellerato sentiero dell’allegoria mangereccia, e quindi ecco: il piatto del giorno servito dai
Then Comes Silence non ha saputo conquistarmi. Un giro a vuoto, d’altra parte, lo si può concedere anche agli
chef migliori… purché rimanga un caso isolato.
Non fatemi cambiare esercizio, mi raccomando.
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