I
Camos sono una Heavy Metal band formatasi nel 2000 per volontà del cantante degli
Amen Corner Sucoth Benoth.
Dopo aver rilasciato un LP nel 2009,
"Kaim 666", dovranno passare ben 15 anni prima che veda la luce la loro seconda opera:
"Hide from the Light", pubblicata proprio in questo ottobre 2024, sotto l'egida della
Murder Records.
Se nel caso di
"Hide from the Light" si dovesse proprio parlare di Black Metal (The Metal Archives così li definisce), ci si dovrebbe per forza di cose riferire, casomai, alla prima ondata – e questo vale anche, allo stato attuale, per gli ottimi Amen Corner del buon vecchio
Sucoth – ,benché, con molteplici echi Heavy, e varie altre contaminazioni che rendono davvero arduo catalogare un LP simile all'interno dell'ordine, elitario e blasfemo, della nera fiamma.
In ogni caso, questo secondo lavoro dei
Camos non è affatto da prendere sottogamba, poiché, se adottiamo un approccio scevro da ogni forma di ortodossia e di aspettativa in tal senso, potremo apprezzare un discreto album, più Heavy Metal che Black, ma pur sempre di valore.
Abbiamo di fronte 10 brani per un totale di circa 43 minuti di musica che spazia indubbiamente su tonalità oscure, dove nei frangenti più veloci e carichi di mordente ritroviamo felicemente - pur se in forma spuria - lo spettro di quei satanassi di
Venom e
Celtic Frost (
"Hide from the Light") – che comunque sia non rappresentano minimamente la vena predominante del platter.
Risultano davvero innumerevoli gli inserti classici soprattutto nel guitarwork, bensì anche in un certo andamento delle linee vocali (pur presentandosi particolarmente grezze).
Si tratta di pezzi costruiti su basi estremamente melodiche e pregne di pathos, con un orientamento quantomai 80's: tetro e orrorifico richiamante assai da vicino, soprattutto in alcuni ricami raffinati delle chitarre, e in una certa declinazione generale del costrutto portante, ai grandi
King Diamond (era
"Abigail"/
"Fatal Portrait" per intendersi), inoltrandosi in alcuni frangenti, con mia grande sorpresa, perfino in territori non dissimili da quelli esplorati da
Alice Cooper (a campione si prenda la semi-ballad
"When Love Ends in Blood").
Soffermandosi, invece, nuovamente sulle parti più furiose, che appaiono qui ridotte al lumicino - in quanto il disco si gioca prevalentemente tra mid tempo rocciosi (
"Riding to Hell"), dove il basso si ricava un gradevole ruolo di primo piano, e innumerevoli momenti di più ampio respiro (caratterizzati dalle raffinatezze artistiche di cui abbiamo appena trattato) -, troviamo talvolta anche qualche eco Thrash proveniente dalla Bay Area, e soluzioni Speed/Heavy ben riuscite che attingono dai primi
Mercyful Fate.
"Hide from the Light", nonostante la sguaiatezza dello stile canoro di
Sucoth, è un'opera elegante e suggestiva; questo grazie anche al suo essere avvolta da un manto teatrale, ricavato da un tessuto magniloquente e drammatico, a cui è difficile rimanere indifferenti.
Oltre alle molteplici sfaccettature che abbiamo appena elencato, bisogna includere qualche eco Prog-rock, solos richiamanti al grande
Gilmour (
"Hopless")… e altre particolarità che lasciamo al lettore l'onere di scoprire.
Il difetto, casomai, di un full-length simile, è l'eccessiva derivazione stilistica dai nomi da noi menzionati durante la nostra recensione, i quali finiscono per sottrarre leggermente l'identità ai brasiliani.
Un album adatto più agli amanti dell'Heavy Metal e dello Shock rock, piuttosto che ai blacksters.
Recensione a cura di
DiX88