“E qui casca l’asino” penserà qualcuno. Il disco in questione è sicuramente “spinoso” da recensire (forse per questo nessuno l’ha ancora fatto) ma qualche parola credo che la meriti lo stesso. Ammesso e non concesso che mi sembra davvero inutile dire chi sono i
Dream Theater,
“Falling Into Infinity”, di fatto il quarto LP del combo (tralasciando l’EP
“A Change Of Seasons”), ha nelle “troppe novità tutte insieme” la sua origine di fiasco artistico e commerciale: un nuovo tastierista (
Derek Sherinian) totalmente antitetico al compianto
Kevin Moore, un nuovo produttore (
Kevin Shirley) capace di entrare “a gamba tesa” negli arrangiamenti delle band con cui lavora, un nuovo autore esterno (
Desmond Child) con un curriculum molto lontano dall’universo progressivo propriamente detto. Se ne sono dette tante, dal fatto che i
Dream Theater volessero tentare la “svolta” mainstream tipo Metallica del “Black Album”, alle pressioni della casa discografica per brani più concisi e radiofonici ma, a distanza di quasi 10 anni, la verità è solo che la materia prima è oggettivamente di qualità inferiore rispetto al recente passato
(“Awake”) e all’immediato futuro (
“Scenes from a Memory”). Non vi è dubbio che i “compagni di viaggio” facciano la differenza (non ho mai apprezzato particolarmente nessuno dei tre “nuovi” personaggi precedentemente citati) ma quando su 11 brani ti ritrovi con 3 ballad “così-così” di memoria “boy-band Anni Novanta” (
“Hollow Years”, “Take Away My Pain” e
“Anna Lee”), 4 brani per lo più riempitivi
(“You Not Me”, “Burning My Soul”, “Lines In The Sand”, “Please Just Let Me Breathe”), 1 plagio (
“Peruvian Skies” che ruba a piene mani tanto dai Metallica quanto dai Pink Floyd) e solo 3 brani con qualche motivo di interesse (
“New Millennium”, lo strumentale
“Hell’s Kitchen” e
“Trial Of Tears”) c’è solo da fermarsi un attimo e capire che il periodo non è dei migliori per registrare un disco. Chiariamo, gli album di cui vergognarsi secondo me sono ben altri, e per questo mi sento di dare comunque una pacca sulle spalle ai maestri di New York e promuoverli con una valutazione discreta: l’impegno c’è e darà i suoi frutti pochi mesi più tardi…
A cura di Gabriele “gd1039” Marangoni