Forte del successo di cui continuava a godere “Appetite For Destruction”, la Geffen Records pensò a ragione di battere il ferro fin quando fosse stato caldo. L’intuizione della major di Santa Monica si concretizzò in “GN’R Lies”, disco che se per durata e numero di tracce può essere considerato un full lenght, a livello di contenuti è a tutti gli effetti un EP.
In “Lies”, infatti, trovano posto quattro tracce live già pubblicate nel 1986 da una sussidiaria della Geffen (la UZI Suicide) allo scopo di valutare la risposta del mercato nei confronti della nuova band, a cui si aggiungono altri quattro brani acustici registrati dai Guns nel giro di pochi giorni in tre diversi studi di Los Angeles.
I pezzi datati ‘86 ci presentano un gruppo meno graffiante rispetto a quello che si è conosciuto in “Appetite”, leggermente più orientato al glam che all’hard rock, dato riscontrabile anche osservando il look dei Guns dell’epoca, immersi in cotonature e make up piuttosto evidenti.
Le danze del mini live in oggetto si aprono con “Reckless Life” brano ereditato dalla precedente band di Axl, gli Hollywood Rose, che scorre discretamente senza tuttavia lasciar molto. Segue “Nice Boys”, cover degli australiani Rose Tattoo con cui si comincia a capire su quali sonorità il gruppo si sia, almeno parzialmente, formato. In rapida successione si inserisce “Move To The City” che passa senza colpo ferire come il brano d’apertura. La prima metà di “Lies” si chiude con “Mama Kin” celebre creatura degli Aerosmith che furono. Il groove sprigionato dai Roses convince e la cover degli ‘smith risulta il pezzo meglio riuscito tra quelli fin qui ascoltati.
Col quinto brano si alza finalmente il sipario sul materiale più interessante contenuto in questo “Lies”. Le quattro tracce finali, infatti, ci presentano una band ancora affiatata e permeata da un buon estro compositivo, soprattutto a fronte degli attriti creatisi in seguito all’abuso di alcol e droga cui erano soggetti alcuni membri del gruppo.
“Patience” e “One in a million” sono due ottimi indicatori delle capacità che i Guns ancora possedevano nell’89. Le melodie di chitarra classica costruite dal quartetto Stradlin/Slash/McKagan/Adler risultano molto gradevoli, intersecandosi perfettamente con l’ugola, a tratti evocativa, di Axl.
La magia si offusca leggermente su “Used to love her” e la versione acustica di “You’re crazy” senza, tuttavia, minare l’impatto complessivamente positivo di questa ultima parte del disco.
Tirando le somme conclusive e considerando il tipo d’album che ci si trova in mano, si deve constatare che i Guns dell’89 alla sufficienza ci arrivavano ancora senza intoppi. I nodi, infatti, verranno al pettine solo qualche tempo dopo.