Chi vi scrive non crede in karma, fato, cabala, gesti apotropaici, allineamenti planetari propizi ed altre simili amenità; ciò premesso, qualche indizio che l’ultimo
weekend di maggio fosse nato sotto una buona stella lo si poteva cogliere.
Sabato sera, ad esempio, durante un’ottima cenetta nel centro di
Lubiana con moglie e figlia, mi viene fatto notare che una losca figura lungocrinita si sta aggirando attorno al ristorante.
Alzo lo sguardo… e mi trovo di fronte il furtivo (ma non abbastanza)
Janick Gers, che si concede, con grande gentilezza, per una fotografia.
Il pomeriggio successivo invece, mentre ci rechiamo alla
location del concerto, noto per puro caso, dall’altra parte della strada, uno sparuto stuolo di metallari assiepati davanti ad un albergo.
Parcheggiamo le bici per dare una sbirciata… e dopo alcuni minuti iniziano ad uscire alla spicciolata
Nicko ed i tre chitarristi, che vengono condotti all’
Arena Stožice per l’imminente
show.
Insomma, staremo pur sempre discettando di effimere soddisfazioni da fanatico, ma capirete che lo stato d’animo con cui mi approccio al concerto sia particolarmente euforico.
Per amor di onestà, la circostanza che il gruppo spalla, ossia i
The Raven Age, abbiano appena terminato il loro
set nel momento in cui facciamo il nostro ingresso nel palazzetto, non abbassa granché il livello di entusiasmo.
Non vorrei risultare malevolo, ma avevo già avuto modo, in passato, di assistere ad esibizioni della
band capitanata dal figlio di
Steve Harris, e diciamo pure che ne avevo tratto impressioni contrastanti. E in ogni caso, stasera, orecchie e cuori erano tutti per la
Vergine…
Dal lontano 1998 ad oggi ho avuto la fortuna di presenziare a 37 concerti della compagine britannica; eppure, mai prima d’ora avevo assistito ad una prima data.
Capirete quindi che, se il livello di trepidazione
pre-show è alle stelle già di
default, in questa occasione si lambiscano livelli quasi spasmodici.
L’attacco di “
Doctor Doctor” non fa che incrementare il senso di gioiosa attesa; poi, quando si spengono le luci e dalle casse prorompe l’immortale tema di “
Blade Runner”, tutti i presenti sobbalzano. Ce lo si poteva attendere, certo, ma questo non affievolisce comunque l’emozione.
Anche la scelta di “
Caught Somewhere in Time” come
opener era preventivabile; eppure, vi posso assicurare che è stato un autentico tuffo al cuore sentirla dal vivo per la prima volta -se c’eravate nel
tour del 1986-1987 avete tutta la mia invidia-.
Da lì in poi ci attendono 120 minuti di immacolata perfezione musicale e sonora?
No, in realtà.
Da tempo immemore ormai, tanto nella vita di tutti i giorni quanto su su questo glorioso portale, rivesto con piacere, ed indefessa dedizione, il ruolo di apologeta dei
Maiden. Ciò non impedisce, tuttavia, di esercitare -seppur in modo ossequioso- un blando diritto di critica laddove le circostanze lo richiedano.
Ecco a voi, quindi, uno scabroso elenco volto a riaffermare la mia obiettività (?):
- i suoni si rivelano da subito piuttosto impastati e sbilanciati: il comparto vocale viene sovente sovrastato dal tappeto strumentale, mentre alle chitarre viene accordata scarsa nitidezza in fase ritmica;
-
Nicko, si sa, non è più un adolescente, ed in ragione di ciò alcuni brani subiscono un’evidente rielaborazione in
slow motion, così come alcuni passaggi e
drum fills vengono semplificati;
- come già accaduto nel recente passato (anche se stavolta c'è l'attenuante degli evidenti problemi col fonico),
Bruce perde di quando in quando il filo della matassa, cantando fuori tempo o mancando l’attacco di alcune linee vocali.
Fiuuu, ecco fatto: mi sono liberato del fardello.
Ora posso prontamente ricominciare a tessere le lodi del gruppo della mia vita!
Già, anche perché al netto di qualche inciampo tecnico (più che comprensibile nella data 1 di un
tour nuovo di zecca), lo spettacolo messo in piedi dagli
Iron è stato strepitoso.
Coinvolgimento ai massimi livelli, prestazioni sontuose, impianto luci e fondali più spettacolari che mai, incursioni sul palco di
Eddie impagabili come sempre, scaletta…
Già, la scaletta?
In un aggettivo la definirei sorprendente. Un po’ per gioco, un po’ per saggiare il mio livello di comprensione dell’universo
Maiden, avevo provato a stilarne una.
Direi che è andata bene, ma non benissimo: 10 brani indovinati su 15.
E se inizio e fine concerto sono stati sostanzialmente azzeccati, della porzione centrale non ho imbroccato pressoché nulla.
La doppietta di apertura “
Caught Somewhere in Time” e “
Stranger in a Strange Land” (mamma mia l’assolo di
Adrian…), così come il doppio estratto dall’ultimo lavoro “
Writing on the Wall” – “
Days of Future Past”, erano tutto sommato semplici da pronosticare.
Mai avrei previsto, invece, che “
Senjutsu” e “
Stratego” venissero già accantonate, benché abbia senz’altro gradito la scelta di “
The Time Machine”; nemmeno sulla pur bella “
Death of the Celts” avrei scommesso un centesimo (al suo posto mi aspettavo “
The Parchment”).
Ancora: ero convinto si sarebbe riservato un posticino per “
The Loneliness of the Long Distance Runner”, mentre al suo posto trovano spazio “
The Prisoner” (pezzo esagerato, con l’unica colpa di abitare in un
album zeppo di classici) e “
Can I Play With Madness”, leggerina quanto volete ma sempre godibilissima in sede
live.
Il sacrosanto ripescaggio di “
Heaven Can Wait”, dal canto suo, non può cogliere alla sprovvista; semmai, a lasciare leggermente interdetti è l’assenza dei
fans sul palco per intonare il famoso coro.
Con la successiva “
Alexander the Great”, eseguita dal vivo per la prima volta, si raggiunge con ogni probabilità l’apoteosi emotiva: intonata in modo magistrale da un
Bruce in formissima (anche fisicamente), l’epico
tour de force partorito dal genio di
Steve viene accolto con trasporto e commozione senza pari. Solo intorno a me, tanto per dire, noto due persone in lacrime
[io mantengo un tono giusto perché ho la figlia in spalla e mi vergogno].
“
Fear of the Dark” e “
Iron Maiden” sono come la morte: ineludibili. Questo, tuttavia, non le rende meno entusiasmanti, anche grazie al finale con l’inedito
Eddie “doppio” (gonfiabile dietro alla batteria + fisico sul palco) a tema samurai.
I Nostri salutano, ma non ci crede nessuno: dopo pochi minuti si riparte come meglio non si potrebbe, con una “
Hell on Earth” incendiaria in tutti i sensi, figurati e non (peccato solo per il fastidioso fischio da
feedback durante la parentesi più intimista).
“
The Trooper” rimane irresistibile anche al milionesimo ascolto, anche se
Bruce si astiene dall’indossare la divisa e dallo sventolare della bandiera britannica. “
Wasted Years”, da ultimo, conclude lo
show come meglio non si potrebbe, con quell’indimenticabile coro urlato a pieni polmoni dall’intero palazzetto.
Così, dopo due ore e tra scroscianti applausi, il primo atto del “
The Future Past Tour” viene consegnato agli annali. Un primo atto, come doverosamente riportato, non privo di inconvenienti, ma non per questo meno memorabile.
Ad ogni modo, se tutto va come previsto, ci rivedremo a
Londra e
Milano il prossimo luglio; nel frattempo ci sarà senz’altro modo di limare qualche piccolo dettaglio ed oliare alcuni passaggi.
Quanto a voi, amati lettori, accettate un umile consiglio: so bene che il
bill del
Return of the Gods “festival” -virgolette d’obbligo- non è dei più appetitosi, ma non fatevi scappare questo spettacolo. A meno che non siate dotati della
DeLorean di
Ritorno al Futuro (tanto per rimanere in tema) potreste rimpiangerlo amaramente.
setlist:
1-
Caught Somewhere in Time2-
Stranger in a Strange Land3-
The Writing on the Wall4-
Days of Future Past5-
The Time Machine6-
The Prisoner7-
Death of the Celts8-
Can I Play With Madness9-
Heaven Can Wait10-
Alexander the Great11-
Fear of the Dark12-
Iron MaidenEncore:
13-
Hell on Earth14-
The Trooper15-
Wasted Years