Giovane gruppo milanese, i
Nemesi propongono uno stile molto moderno, nel quale sopra basi fortemente metalliche si snodano lunghi testi in italiano cantati da più voci. L’atteggiamento generale è quello del rap, con intrecci vocali di parti rabbiose, urlate, militanti, ma anche riflessive.
Nel disco c’è una discreta varietà di situazioni, dai brani violenti ed hardcore ai pezzi più lenti, circondati da un’atmosfera di scoramento ed abbandono. Com’è logico, i testi sono l’essenza fondamentale del lavoro, ed i lombardi in questo non si sono risparmiati. Parole crude, concetti rabbiosi e provocatori, atteggiamento ribelle e non allineato, storie di degrado sociale e problemi esistenziali, spaccati di vita suburbana e cenni di sfida al sistema. Nulla di nuovo, ma neppure niente meno del necessario. Molti passaggi assumono la forma di basilari slogan, che possono fare breccia prevalentemente in un pubblico di coetanei.
Questa è l’altra caratteristica più evidente dei Nemesi, gruppo adatto esclusivamente ai favori di un audience abituata alle commistioni “crossover” e al tipo di argomenti di cui sopra. Nel mio caso, ad esempio, è ovvio che tale sfoggio di insoddisfazione generazionale non possa avere grande effetto. Anzi, la sensazione che dei venti-trent’enni siano già stufi di tutto e di tutti, in perpetua lotta con il mondo, delusi e disillusi, saturi di ogni esperienza, ecc, mi mette quantomeno a disagio.
Al di là di questo, chi è interessato ad un album ricco di livore e bellicoso ma capace anche d’introspezione, frutto di testi che trasmettono idee e pensieri, con i Nemesi troverà pane per i suoi denti.
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