Com’è il detto? L’erba del vicino è sempre più verde? Beh, mica tanto vero… perché affannarci a cercare supergruppi in America o Inghilterra quando ne abbiamo uno qui in Italia, a Firenze per la precisione, che può far mangiare la polvere a tanti nomi ben più blasonati? I
General Stratocuster and the Marshals, questo il nome del supergruppo in questione, nascono nella città dell’arte nel 2010, e vedono nelle proprie fila personaggi ben noti nella scena rock nazionale… A guidare la cricca c’è Fabio Fabbri, famoso session man, mentre dietro il microfono troviamo l’ugola d’oro di Jacopo Meille, che i più metallari di voi conosceranno perché al momento milita niente meno che nei
Tygers of Pan Tang. Gli altri Marshals, invece, sono Nuto e Federico Pacini, entrambi provenienti dalla
Bandabardò, e soprattutto Richard Ursillo, storico bassista che tra i sixties e i seventies ha militato in band quali
Campo di Marte,
Sensetion Fix,
Sheriff… Insomma, come avrete capito di certo non gli ultimi arrivati. Ed è per questo che il loro secondo album (l’esordio, omonimo, è stato autoprodotto), pubblicato dalla giovane etichetta fiorentina Red Cat Records, sprizza classe da tutti i solchi. L’ambito nel quale si muovono i nostri è quello del classic rock di chiaro stampo seventies, pregno però di blues (“Don’t be afraid of the dark”), funky, e perfino western (la ballad “Alone”). E non ho parlato a caso di classe, perché questo disco vi stupirà per la sua freschezza, nonostante si muova lungo binari ampiamente percorsi, per la semplicità con cui i nostri riescono a tirar fuori refrain memorabili, per la capacità di ognuno di loro di far trasparire la propria personalità ed arricchire, così, ulteriormente le composizioni. E i richiami ai vari
Led Zeppelin (“Push to the limit”),
Cream,
Free (“Drifter”),
Trapeze (“Double trouble”),
Rolling Stones (“I just got scared”),
Lynyrd Skynyrd (“What are you looking for”), sono talmente rispettosi e reverenziali (oltre che minimi), da risultare quasi commoventi… Un CD che amerete sempre di più ad ogni nuovo ascolto, e del quale scoprirete di volta in volta le varie sfaccettature, visto che nonostante si muova lungo sentieri puramente rock, sono molteplici le sonorità che spuntano fuori qua e là, rendendo il tutto più ricco ed interessante. Insomma, se siete amanti del rock, quello più puro e vero, non potete assolutamente farvi sfuggire questo album, alla faccia di nomi ben più grossi che c’hanno provato, fallendo miseramente (ve li risparmio, sapete di chi sto parlando)… Unica raccomandazione: “Double trouble” provoca dipendenza… siete avvisati!!
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