Mettiamo subito le cose in chiaro: questo è un disco che farà contenti tutti gli amanti del prog metal di stampo tradizionale; è fresco, ispirato, strabordante di idee interessanti, sviluppate con eleganza e passione, inoltre è dannatamente ammaliante, col suo sapore spiccatamente nordico, oltre che squisitamente equilibrato nel suo perfetto bilanciamento tra melodie (sempre variegate e cangianti) e parti aggressive (mai cosi abbondanti nella carriera della band trentina).
Ma non è solo questo...
Ragnarøkkr , che segna il ritorno discografico degli
Asgard dopo ben 20 anni di assenza, è molto di più: è un vero e proprio viaggio mentale verso terre lontane, sin dalla traccia iniziale
Trance-Preparation, si ha infatti la sensazione di essere catapultati in un mondo appartenuto a tempi assai remoti, dominati da antiche superstizioni pagane e nobili valori, che costituivano la vera essenza dell'umano vivere; è come se, per dirla in altri termini, si venisse avvolti da una sorta di fantastico vortice onirico, da cui ci si sente completamente rapiti e trasportati in un universo parallelo, totalmente distaccati dalla frenetica e caotica realtà odierna.
Insomma, nell’analisi di questo lavoro, di carne al fuoco ce n’è veramente tanta, a cominciare dal fatto che il disco è stato prodotto da Roland Grapow, ex-Helloween, ora nei Masterplan, ed il suo zampino si sente eccome, rispetto ai precedenti lavori in studio della band, ma andiamo con ordine....
Anzitutto la line-up della formazione trentina che, rispetto al precedente Drachenblut (2000) è rinnovata per 4/5 difatti, accanto allo storico tastierista
Alberto Ambrosi (unico membro della formazione originale rimasto), troviamo il bravissimo
Andrea Gottoli alle chitarre e gli ottimi
Kikko Rebeschini alla batteria,
Paolo Scandolo al basso e
Franco Violo alla voce.
Dicevamo delle melodie, che forse costituiscono il vero fiore all’occhiello del disco, per la loro eterogeneità, il loro continuo mutamento di forma e colore, come vuole la tradizione progressive, senza mai essere fini a sé stesse, o uscire dal seminato. Si prenda, ad esempio di quanto appena asserito, una traccia emblematica come
Shaman (la più lunga dell’album, che forse è anche la più rappresentativa), il brano parte con un flauto dolcissimo per poi trasformarsi più volte nei suoi 11 minuti di durata, sfociando in magiche atmosfere che ricordano tanto il prog-rock settantiano, quanto alcune soluzioni adottate dai primissimi, mai dimenticati Shadow Gallery, ma che vengono successivamente appesantite ed accelerate, con una sezione ritmica dunque in costante evoluzione, mentre le tastiere e le chitarre si intrecciando in stupendi fraseggi barocchi, con le prime che utilizzano diversi effetti, tra i quali alcuni particolarmente adatti a richiamare certe armonie celtiche, tanto che ad un certo punto si ha quasi la sensazione vi siano delle cornamuse ad inneggiare delle musiche nordiche, ma in realtà il tutto è sempre opera del tastierista
Alberto Ambrosi che si diletta col suo strumento. Qui, si diceva, tutto è in costante movimento, momenti ipnotici e decadenti convivono con quelli allegri e spensierati e con le atmosfere più epiche e solenni, e queste diverse soluzioni vengono alternate e mescolate più volte tra loro, anche all'interno dello stesso brano, ma sempre con cura ed equilibrio! Questo perpetuo moto musicale in realtà lo si può riscontrare anche in tracce come le celtiche
Rituals o
Der Tod (cantata interamente in tedesco), nella rocciosa
Visions, nelle maestose
Battle (in cui viene invocato chiaramente il “Valhalla”) e
Danse Macabre o nella affascinante
Kali-Yuga, perfetta commistione tra prog e folk (altro elemento che è il marchio di fabbrica della band). Infine, gli
Asgard rendono definitivamente omaggio alle proprie fantasie pagane con la conclusiva title-track in cui, a livello di lyrics, come spiega la tradizione norrena, le forze della luce e dell’oscurità si scontrano nella battaglia finale, è proprio questo il concetto di “Ragnarøkkr”, secondo la mitologia vichinga, qualcosa di simile alla nostra Apocalisse, per intenderci.
Insomma, ricapitolando abbiamo: melodie riuscitissime, mai eccessivamente prolisse, sezione ritmica per lo più a tempi dispari, fraseggi di tastiera e chitarra sublimi ma soprattutto, ciliegina sulla torta, il tutto avviene all’interno di una robustissima struttura metallica, ed è questo l’elemento veramente innovativo di
Ragnarokkr rispetto alle precedenti uscite discografiche della formazione trentina; il sound, pur mantenendo le principali caratteristiche del proprio DNA originario, col passare del tempo si è indurito, conferendo allo stile dei nostri quella sferzata di energia che forse ancora mancava e che un amante del progressive metal apprezzerà sicuramente, merito probabilmente anche del cosiddetto “fattore Grapow” di cui si parlava all’inizio della recensione.
In conclusione, in questo disco troverete di tutto, e forse anche di più, e ritengo che coloro i quali, come il sottoscritto, hanno sempre inteso la musica come una sorta di fuga dall’aridità culturale e spirituale della realtà che circonda l’uomo, verso un universo velato di sogni, fantasie e valori che non potrebbero mai concretizzarsi nella vita normale, troverà qui terreno fertile, se si lascerà trasportare in quel lontano universo parallelo creato sapientemente dagli
Asgard...l’unica controindicazione, inevitabile rovescio della medaglia, è la delusione che si potrebbe provare al termine del disco, momento in cui l’ascoltatore dovrà comunque scontrarsi con la dura realtà...Bè, in quell'istante sarà sufficiente ricaricarsi "sparandosi a palla" qualche classico del nostro adorato genere musicale, per salutare nuovamente tutti quanti e fare immediatamente ritorno al nostro amato “Valhalla Metallico”.