Vado dritto al punto: "
Senjutsu" è un gran bell'album, di quelli che forse non ti aspettavi più (
ma ci speravi tanto...) dagli
Iron Maiden.
Già... se in occasione dei miei deliri nelle recensioni di "The Final Frontiers" e "The Book of Souls" avevo dovuto partire da lontano, rifugiandomi in citazioni di Gleen Cooper e Star Trek giungendo infine alla conclusione che si trattava di album che mi avevano lasciato l'amaro in bocca, ora siamo su ben altri livelli.
Certo, non su quelli dei loro lavori più classici, credo che oggigiorno capolavori così siano praticamente impossibili da replicare, ma inevitabilmente il tempo scorre per tutti, anche per lo stesso
Eddie che se su "Maiden Japan" impugnava la sua Katana in jeans e t-shirt, oggi lo scopriamo indossare una elaborata armatura da Samurai.
Inizio ricordando che "
Senjutsu" (qualcosa del tipo "
tattica e strategia") è stato composto e registrato ai Guillaume Tell Studio di Parigi addirittura nel 2019 durante una pausa del "Legacy of the Beast Tour" per essere poi messo sottochiave e in custodia protettiva. Ed è proprio la titletrack a introdurci al disco, un brano ritmato e cadenzato, interpretato con enfasi da un
Bruce Dickinson in grande spolvero, che sfora gli otto minuti di lunghezza e ci racconta di una chiamata alle armi verso l'invasore, tema non nuovo per i
Maiden, che per l'occasione si affidano per la composizione alla coppia
Smith/Harris. Davvero un bel modo per entrare in sintonia con questa uscita, alla quale ha dato il suo contributo anche
Kevin Shirley, ormai presenza fissa al banco di regia e al fianco di
Harris, sin dalla realizzazione di "Brave New World".
Seguono poi le due canzoni che sono state scelte come singoli, la più classica e sbarazzina "
Stratego" e la coraggiosa "
Writing on the Wall", dove serpeggia un riuscito feeling Rock Southern, per quanto rivisto in ottica maideniana da parte di
Smith e
Dickinson, con i tre chitarristi che hanno davanti a loro ancora larghe praterie lungo le quali poter scorrazzare.
Con "
Lost in a Lost World" si ritorna a minutaggi importanti, nove minuti tutti ad appannaggio di
Steve Harris, così non stupisce incrociare quegli arpeggi iniziali sui quali si appoggia un malinconico
Dickinson, prima che il tutto prenda altri ritmi più veloci ed incisivi, che rimandano alle atmosfere del già citato "Brave New World" e che con un pizzico di concisione in più sarebbero state ancor più efficaci.
I
Maiden riescono comunque ad essere decisamente più sintetici su "
Days of Future Past" (prossima, anche liricamente, al
Dickinson solista), poi si assestano sui sette minuti in occasione di "
The Time Machine" e "
Darkest Hour", prima di cedere passo alla penna e all'estro di
Harris negli ultimi tre capitoli che chiudono l'album, nessuno dei quali scende sotto i dieci minuti.
Per il momento restiamo però focalizzati su questi due episodi, infatti, l'introspettiva dark ballad "
Darkest Hour" pur essendo uno dei momenti meno maideniani del disco è anche quello che più mi ha impressionato, sia perché guarda al passato del gruppo, visto che è ispirata a Winston Churchill, come già avvenne per "Aces High", sia per il suo saper essere intensa, emozionante e coinvolgente. Su "
The Time Machine" è ancora
Dickinson a rubare la scena, indossando i panni di un bardo e narrando una storia "
da farti rizzare i cappelli..." erto su una struttura musicale che spesso e volentieri mi ha fatto pensare a toni cupi di "X Factor".
E' il momento del terzetto conclusivo, con in rapida (
vabbè...) successione: "
Death of the Celts", con i suoi immancabili arpeggi, cambi di tempo e il basso a farla da padrone e più di qualche eco da "The Clansman", quindi il tocco orientale di "
The Parchment", che si fa via via più potente ma proponendosi anche come un dilatato pot-pourri delle idee e soluzioni compositive di
Harris, infine "
Hell on Earth" a "sorpresa" si apre (e si chiuderà anche) con un arpeggio che sfocia in una classica cavalcata che ci ricorda chi e cosa sono (oggi) i
Maiden e ce li fa continuare ad apprezzare e amare.
Non ritengo di poter aggiungere nulla a tutte le recensioni che sono state pubblicate su "
Senjutsu", lo stesso
Metal.it non è stato certo parco tra quelle testuali e le videorecensioni, ma non potevo esimermi dal dire la mia, soprattutto per rimarcare un giudizio così distante rispetto a quello di "The Final Frontiers" e "The Book of Souls", tanto da spingermi a ritenere "
Senjutsu" come il miglior erede dell'ottimo "Dance of Dead", rispetto al quale resta ad ogni modo un gradino sotto
Metal.it
What else?