In tutta franchezza spiace inaugurare il
report di un concerto fantastico con recriminazioni e polemiche; d’altra parte, se ci si presenta alla cassa degli accrediti prim’ancora che aprano i cancelli, e si entra nel palazzetto 58 minuti dopo, in tal modo perdendo buona parte dell’esibizione del primo gruppo -oltre alla possibilità di fotografarlo-, ritengo sia lecito avanzare qualche mite critica all'organizzazione.
Si consideri anche che, dalle quattro persone a cui ho chiesto lumi sul corretto ingresso col
pass photo, ho ricevuto quattro risposte diverse -no, giuro che non sto enfatizzando-. Il tutto per poi, una volta imboccata finalmente la giusta direzione, dover quasi litigare con la maschera per poter introdurre la macchina fotografica… nonostante l'esibizione del succitato
pass photo. Boh…
KING PARROTInsomma, peccato non aver potuto assistere al concerto dei
King Parrot nella sua interezza, dal momento che, basandomi sul brandello finale che sono riuscito ad ammirare, i Nostri mi sono sembrati carichi a pallettoni.
La carica ferale sprigionata dal loro velenoso
thrash d’assalto imbastardito col
grind viene ulteriormente sublimata in sede
live; un autentico assalto frontale, con un’attitudine dannatamente
in your face.
Encomiabile, sotto tale profilo, l’operato del singer
Matt Young, le cui
vocals al vetriolo vengono riproposte, se possibile, in modo ancora più estremo che non in studio.
Insomma, la voglia di rivedervi in condizioni più propizie mi è rimasta eccome; nel frattempo, attendo con ansia il nuovo
album “
A Young Person's Guide To”, in uscita a maggio.
Voi invece, cari lettori della Gloria, beccatevi un paio di foto estemporanee fatte col cellulare, come si dice dalle mie parti, alla brutto cane -non che quelle scattate in seguito, da sotto il palco e con la macchina fotografica seria, presentino chissà quale incremento in termini di qualità…-.
POWER TRIPChe botta, ragazzi!
L’
incipit non ha alcun intento allusivo al consumo di sostanze allucinogene (che pur il medesimo
moniker della band parrebbe suggerire), ma si riferisce unicamente alla prestazione della compagine texana, che ammiro dal vivo per la prima volta.
Trovo ci sia davvero poco da scrivere: i Nostri si rendono protagonisti di una prestazione compatta e potente, ivi compreso il nuovo
singer Seth Gilmore, cui viene demandato l’arduo compito di sostituire il povero
Riley Gale, scomparso cinque anni orsono.
Il pubblico inizia a rinfoltirsi, e nel
pit -se così vogliamo definirlo, visto che include in realtà buona parte del
parterre- si assiste ai primi tentativi di
crowd surfing.
L’entusiasmo appare del tutto condivisibile, vista l’ottima resa dei brani; brani che, perlopiù, vengono giustamente estrapolati dall’eccelso “
Nightmare Logic”; anche gli estratti dal
debut, come “
Drown” e la conclusiva “
Manifest Decimation”, fanno comunque la loro porca figura.
Su quest’ultima, poi, si segnala la riuscita esecuzione di un
wall of death; bello a vedersi, ma con la macchina fotografica sarebbe stato rischioso parteciparvi…
Bravi
Power Trip: senza fronzoli ma non per questo privi di discernimento compositivo, rocciosi, cazzuti, coinvolgenti… in una parola: promossi a pieni voti!
[se contiamo anche “a pieni voti” le parole diventano quattro, come avrete probabilmente notato].
PANTERAHo già polemizzato ad inizio articolo, quindi non ho alcuna intenzione di versare ulteriore inchiostro virtuale disquisendo, per la miliardesima volta, sull'opportunità etica di utilizzare il sacro
monicker “
Pantera” per questa incarnazione apocrifa della
band.
Quello che mi interessa, almeno stasera, è riassaporare brani che hanno letteralmente scandito la mia giovinezza, ma che sento dal vivo per la prima volta (se escludiamo l'esibizione solinga di
Phil Anselmo al
Rock the Castle del 2019).
Così, quando i nostri salgono sul palco, e parte l’immortale
riffone di “
A New Level”, l’emozione è tanta, e non accenna a scemare con le successive “
Mouth for War” e “
Strength Beyond Strength” (brano che, ormai trent’anni fa, m'introdusse alla compagine di
Arlington).
Il palco è essenziale, “ordinato”, ma ai miei occhi genuinamente bello, e lo stesso può dirsi dell’impianto luci; riassumerei gli extra citando le fiamme, che di quando in quando fanno capolino, ed i maxischermi, che alterneranno video dell’epoca d’oro ad effettistica varia ed eventuale.
L’attenzione però, almeno per quanto mi riguarda, è tutta per l’esecuzione di pezzi storici ed intoccabili, che anche grazie ad ottimi suoni -molto presente, almeno dalle mie parti, il basso di
Rex- vengono riproposti alla grande.
Oddio, ad onor del vero “
Becoming” attacca senza la chitarra, che per fortuna viene presto ripristinata; a cantare il
chorus, invece, ci pensa un pubblico in visibilio.
Aiuti dell’
audience a parte, ho trovato
Phil Anselmo in discreta forma; scalzo, con le consuete pose, il
frontman accorcia alcune note e ne abbassa altre, ma si tratta di espedienti normali -e leciti, per quel che mi riguarda-; in generale però, considerato che l’età passa per tutti, mi ritengo più che soddisfatto.
Anche il resto della band macina che è un piacere:
Zakk Wylde all’opera è sempre un piacere per gli occhi e le orecchie, tanto sui
riff che in fase solista.
Benante, dal canto suo, non smette un attimo di martellare le pelli, risultando perfettamente a suo agio sia sui momenti più concitati (penso al frenetico attacco di “
Suicide Note Pt. II”) che nei frangenti in cui prevalgono potenza e
groove (su “
5 Minutes Alone”, ad esempio, sembrava volesse spaccare il
kit).
Lo
show procede spedito, come sempre accade quando si conosce ogni brano a menadito; ciò, come ovvio, non implica affatto che manchino le emozioni, ed il trasporto collettivo con cui viene intonato il
chorus di “
This Love” è lì a dimostrarlo.
Emozioni che sovrastano i presenti anche in occasione della successiva, sublime “
Floods”, durante la quale vengono proiettati video dei (mai abbastanza) compianti fratelli
Abbott.
Ogni eventuale lacrimuccia deve prontamente venir ricacciata indietro, perché è il momento dell’inno “
Walk”, che vede l’ingresso sul palco di alcuni membri di
King Parrot e
Power Trip.
Si procede alla grande fino al monumentale
riff di “
Cowboys from Hell”, su cui il buon
Phil arranca un attimo -e ci mancherebbe, vista la difficoltà, la frequenza e la velocità delle linee vocali-.
I
Pantera si congedano tra i convinti applausi di tutti i presenti, consapevoli che di lì a poco riprenderanno le ostilità.
In pochi, però, si aspettano l’esecuzione dell’intro di “
Mississipi Queen” prima dell’immancabile “
Fucking Hostile”; allo stesso modo, sorprende in positivo l’aggiunta di un ulteriore brano alla usuale
setlist (“
a special song for a special night” afferma
Anselmo), ossia “
Yesterday Don't Mean Shit”.
Ottanta minuti di concerto: forse non moltissimi, ma di certo ottimamente investiti.
Abbandono l’
Unipol Arena felice di aver partecipato ad un evento che, difficoltà iniziali e dubbi sul “
pit” a parte, definirei davvero ben riuscito.
Mi piace pensare sia un “arrivederci”.
POWER TRIP setlist:
Soul Sacrifice
Executioner's Tax (Swing of the Axe)
Firing Squad
Hornet's Nest
Nightmare Logic
Drown / Crucifixation
Waiting Around to Die
Manifest DecimationPANTERA setlist:
A New Level
Mouth for War
Strength Beyond Strength
Becoming (with "Throes of Rejection" Outro)
I'm Broken (with "By Demons be Driven" Outro)
Suicide Note Pt. II
5 Minutes Alone
This Love
Floods
Walk (with Power Trip and King Parrot)
Domination / Hollow
Cowboys From Hell
Encore:
Fucking Hostile