(06 febbraio 2016) The Aristocrats @ Officina degli Angeli (Negrar, VR)

Info

Provincia:VR
Costo:20
È un'Officina degli Angeli gremita di potenziali spettatori di “Big Bang Theory” quella che accoglie The Aristocrats per la loro calata veronese. Il "trio delle meraviglie" sale sul palco, piccolo ma accogliente, alle 22 in punto e intratterrà i fortunati presenti per le due ore successive alternando momenti di musica da vertigini, racconti incredibili sulle origini dei brani proposti (con tanto di citazioni in lingua italiana) e "teatrini" al limite del cabaret degni dei migliori giullari di corte.

Apre le danze "Stupid 7", brano composto da Minnemann nonché prima traccia dell'ultimo full-length "Tres Caballeros".

Alla fine del brano la band, nel modo meno serio possibile, si presenta e introduce "Jack's Back" che, grazie al preambolo di Guthrie Govan, scopriamo essere "il seguito" di "Furtive Jack" tratta dal primo album del combo anglo-americano. (Non so se vi è mai capitato di avere tra le mani un disco di The Aristocrats ma all'interno del booklet non troverete assolutamente NULLA oltre ai credits e ai titoli delle canzoni, quindi il live è l'unica fonte disponibile per "capire il senso", se così si può dire, che sta dietro a un loro brano, ndr)

É il momento di "Texas Crazypants", e questa volta è Bryan Beller a spiegarci la storia assurda che ha ispirato la canzone (in poche parole questo strumentale "narra" le avventure del bassista alle prese con una donna e le sue sorelle che lo accusano di avergli incidentato la macchina presso una stazione di servizio in Texas).

"Pressure Relief" è un altro brano di Minnemann che mette in musica la pressione dovuta allo stare continuamente in tour dove il nostro, mentre suona la batteria, sul finale si cimenta anche nell'esecuzione di una melodia tastieristica utilizzando il suo iPhone 6S: se non l'avesse detto, nessuno si sarebbe mai accorto che stava suonando la batteria con un braccio solo...

Si ripescano quindi due brani dal penultimo disco "Culture Clash" con la traccia omonima (introdotta dal chitarrista) e il successivo tour-de-force elettrico "Louisville Stomp" firmato da Beller.

Riprende la parola Guthrie Govan, o meglio il suo maiale di gomma, per introdurre "Pig's Day Off", mentre sul palco vengono portati una birra per il chitarrista, un calice di vino per il batterista e un cocktail per il bassista. É circa in questo momento, se la memoria non mi inganna, che varcano le porte del locale due persone non giovanissime (chiamarle anziane mi sembra fuori luogo), lui altissimo e lei tinta di un rosso decisamente acceso (ho pensato all'antiruggine, sarò sincero). Non si capisce bene cosa facciano lì, non parlano, si avvicinano silenziosamente al palco e allora scopriamo essere i genitori di Marco Minnemann, in vacanza in Italia, volenterosi di vedere la band del figlio all'opera!

"Desert Tornado", sempre tratta da "Culture Clash", fa riferimento alla vicenda in cui Minnemann è stato costretto a "scappare", nel pieno dei lavori nel suo studio di registrazione in California, a causa di un tornado in arrivo. Decisamente comico il racconto della telefonata di Bryan nel mezzo della "fuga" da casa del batterista. Il brano è l'occasione per un lungo assolo di Marco che lascia la folla letteralmente senza parole, prima della ripresa finale.

"Smuggler's Corridor" è per Beller un brano importante perché, per la prima volta, introduce una linea vocale (di memoria morriconiana) nella musica di The Aristocrats. Nonostante la titubanza iniziale di Govan e Minnemann (forse simulata), il brano diventa l'occasione per far cantare il pubblico e, a sorpresa, le numerose fanciulle (a occhio una ventina, numeri esagerati per concerti di questo tipo, come sottolineato dalla band stessa) presenti alla serata.

"The Kentucky Meat Shower", all'apparenza dal titolo senza senso, è in realtà ispirata a una vicenda di storia americana realmente accaduta nel 1876. Data la sua natura non proprio indicata per gli stomaci deboli, rimando a Wikipedia per coloro che volessero approfondire...

Chiude la serata il bis "Get It Like That", ennesimo “delirio” strumentale della formazione tratto dal disco d'esordio (arricchito dalla performance del pollo, della gallina e del maiale di gomma che intonano addirittura "Another Brick In The Wall" dei Pink Floyd), con cui viene data la buonanotte al pubblico.

Se vi state chiedendo perché ho parlato poco o niente di musica, la risposta è presto detta: i tre musicisti sono impressionanti, un tutt'uno col proprio strumento e un tutt'uno come band, un unicum che non ha eguali nel panorama rock contemporaneo. E il segreto dove sta? Nella tecnica sopraffina? Negli strumenti fatti su misura per loro? Nel fonico che li segue in tutto il mondo? Niente di tutto questo. Bryan Beller, Guthrie Govan e Marco Minnemann fanno una cosa semplicissima: scrivono musica per il piacere di farlo e dall'inizio alla fine di una performance si divertono e fanno divertire, sorridendo e scherzando tra loro sul palco e coinvolgendo in tutto questo il pubblico presente. Possono piacere o non piacere, ma di gruppi così (e di locali così, aggiungo) ce ne vorrebbero altri mille, perché sono queste le realtà che fanno bene alla musica. A tutta la musica. "Long live The Aristocrats".

ps. Un sentito ringraziamento va a Matteo Chiarini per le splendide foto della serata



Setlist:
Stupid 7
Jack’s Back
Texas Crazypants
Pressure Relief
Culture Clash
Louisville Stomp
Pig’s Day Off
Desert Tornado (+ Drum Solo)
Smuggler’s Corridor
The Kentucky Meat Shower
Encore: Get It Like That
Report a cura di Gabriele Marangoni

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